Marek è un talentuoso scrittore emergente che, dopo una festa a base di alcol e droga, si ritrova a fare i conti con la scomparsa del suo amico Arthur e con il tormentato rapporto che lo lega a una strana donna. Un thriller psicologico, il polacco ‘Ixjana’, presentato in concorso al Festival del Cinema di Roma dai fratelli Skolimowski, che si muove su due differenti, e poco collimanti, piani stilistici ed espressivi.
Se a livello puramente estetico la pellicola si rivela attraente ed elaborata, con una fotografia crepuscolare e una costruzione visiva oscillante tra la dimensione onirica e quella del ricordo, la struttura narrativa si rivela invece debole e poco funzionale alla storia, che procede a tentoni, arrancando tra colpi di scena inefficaci, allucinazioni e salti temporali eccessivi rispetto alla fragile ossatura della trama.
Tra sensi di colpa, ossessioni amorose, grotteschi demoni e impetuosi attachi di (quasi ilare) violenza, i due registi danno l’impressione di aver sovraccaricato con un’atmosfera deviata e deviante la linea tratteggiata dalla sceneggiatura: la volontà palese di tenere lo spettatore in equilibrio sulla fune sfilacciata dello smarrimento e del mistero finisce così per annoiare e rendere insensibile lo spettatore di fronte alla mole di stimoli visivi con cui procede il racconto, facendo perdere al film l’imprevedibilità e l’autenticità che dovrebbe caratterizzare la sua appartenenza a un genere ibrido finora esplorato da autori del calibro di David Lynch, Christopher Nolan o Alexander Sokurov.
Accattivante e coinvolgente, invece, la colonna sonora e la recitazione dei protagonisti (Sambor Czarnota e Magdalena Boczarska) che regalano ad una pellicola poco convincente quel tocco in più di surrealtà di cui ‘Ixjana’ si faceva coraggioso portatore.
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