Fra i più avvertiti commentatori (ma, in fondo, anche presso la generalità di chi segue ancora la politica) comincia a delinearsi un duplice convincimento: che l’esito del voto per il futuro capo dello Stato non sia poi così decisivo e che siano anche sovradimensionati i timori sulle sue eventuali conseguenze sul quadro politico interno.
A far crescere tale persuasione è innanzi tutto la percezione dell’irreversibile calo di incidenza della politica, in termini di peso nelle scelte vere che vanno concretamente prese. Per questo motivo, che il premier Draghi si trasferisca o meno da Palazzo Chigi al Quirinale non appare più un’alternativa così discriminante.
A dispetto dei molti articoli usciti dopo quella che è stata presentata dai più come un’auto-candidatura al Colle durante la conferenza di fine anno di Mario Draghi, con le conseguenti considerazioni se sia stato o no un suo passo falso, resta il fatto che non è nella disponibilità dei leader dei partiti la determinazione degli scenari nei quali verrà a trovarsi l’Italia di qui ai prossimi mesi.
Per quanto dipenda dalla dialettica fra loro l’esito delle votazioni da parte dei grandi elettori e anche ammesso che ciò dovesse portare a un eventuale ritiro di Draghi, non sembra affatto probabile che questo comporti una sostanziale modifica del corso delle cose.
A preoccupare davvero sono piuttosto le condizioni generali in cui versa il Paese, dal punto di vista delle lacerazioni interne alla sua struttura statuale. La disgregazione dell’apparato amministrativo, al pari del ruolo fuori controllo esercitato da settori della magistratura, di fatto assurti a un vero e proprio contropotere rispetto ad altre istituzioni, costituiscono la falla devastante che minaccia di affondare definitivamente la nave Italia.
È in questo senso, allora, che ci si dovrebbe concentrare nel momento in cui va effettuata la scelta di chi porre al vertice delle nostre istituzioni. Anziché baloccarsi con le opzioni di genere o dedicarsi a ordire candidature in vista di fantomatiche aggregazioni di un nuovo “centro”, sarebbe quanto mai necessario disporre di una persona in grado di contenere i processi degenerativi di corporazioni e organismi interni allo Stato stesso.
Difficile far coincidere una figura del genere con candidati propensi per lo più alla mediazione sempre e comunque o, addirittura, bisognosi di ricercare una legittimazione proprio da questi gruppi di pressione. Nell’Italia di oggi, corrosa dalle conseguenze della “società delle conseguenze” tante volte descritta da Geppi Rippa, è quasi una fatica di Sisifo.
- Verso l’elezione del Presidente della Repubblica. Agenda storico-politica (1) di L.O.R.
- Il caso Leone: quando il presidente è un ostacolo per il partito del Quirinale. Agenda storico-politica (2) di L.O.R.
- L’angoscia dei partiti per Draghi al Quirinale. Agenda storico-politica (3) di L.O.R.
- Quirinale: partiti allo sbando senza soluzioni. Agenda storico-politica (4) di L.O.R.
- Quirinale: nessuno schieramento ha la maggioranza per eleggere il Presidente. Agenda storico-politica (5) di L.O.R.
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