Dal 1992 in poi, con l’avvio della cosiddetta seconda Repubblica dopo Tangentopoli, il Quirinale acquista una rilevanza prima sconosciuta nell’indirizzare in un senso o in un altro le decisioni politiche. L’indebolimento dei partiti, la loro trasformazione in comitati elettorali attorno a leader fortemente influenzati dalle dinamiche del consenso e dei media, aggiunti alla manifesta subalternità rispetto ai soggetti finanziari e tecnocratici, sono fattori che facilitano il subentro da protagonista del Presidente della Repubblica.
Questa emersione della figura del Presidente si associa a un altro mutamento intercorso proprio in quel periodo: il costituirsi, attorno al Quirinale, di una sorta di roccaforte rappresentativa della capacità di influenza di oligarchie ed apparati, intenzionati a preservare il proprio assetto di potere. Con l’avanzamento del processo di unità europea realizzato dopo Maastricht, tali forze interpretano la cessione di sovranità agli organismi comunitari come il mezzo per assicurare l’imprescindibilità del loro ruolo dominante nel Paese.
Prende così forma quel “partito del Quirinale” (che, come già detto, Giuseppe Rippa richiama frequetemente in pubblico e alle nostre riunione di redazione) che, nel concreto delle contese politiche, realizza un uso strumentale dell’ideale europeista in chiave apertamente restaurativa, come conservazione del patto consociativo tra forze estranee alla tradizione liberale che aveva improntato l’Italia del secondo dopoguerra.
Nel bipolarismo politico che caratterizza l’Italia dopo l’introduzione del maggioritario con le elezioni del 1994, nel polo di centrosinistra (denominato di volta in volta Ulivo, Unione e infine PD) si raccolgono appunto gli orfani del consociativismo compromissorio: cattolici di sinistra e post-comunisti. E da questo versante provengono tutti gli ultimi quattro capi dello Stato – Scalfaro, Ciampi, Napolitano e Mattarella – i quali hanno fatto tanto da referenti, quanto a volte da dialettici interpreti del “partito del Quirinale”.
Da quasi un trentennio, la posizione apicale del sistema istituzionale è stata così occupata da esponenti che sono espressione molto parziale (sia quantitativamente, sia sotto l’aspetto della rappresentanza dei reali interessi collettivi) della politica e della società italiane.
La fine del settennato di Sergio Mattarella coincide con alcune circostanze che modificano il quadro di riferimento generale e il contesto interno, entro cui si è operato in questo ultimo quarto di secolo. Innanzi tutto, la crisi seguita alla diffusione del Covid-19 ha comportato l’abbandono dei dettati sostenuti dalla tecnocrazia europea: il rigore finanziario non è più il faro della politica economica UE e lo stesso asse franco-tedesco è sottoposto a un ripensamento dall’Eliseo, dopo il ritiro dalla scena della cancelliera tedesca Angela Merkel.
Ne deriva la necessità di un riposizionamento anche da parte delle élites italiane, ma la situazione interna risulta assai deteriorata dalla frantumazione sociale alla quale il Paese è stato sottoposto dopo decenni di anti-politica e di campo libero alla demagogia, aggravati dal pre-potere di corporazioni e apparati autoreferenziali.
Sul piano della politica interna trova conferma una sostanziale staticità di fondo degli schieramenti, dal momento che – una volta sfumata ogni illusione di reale novità da parte del Movimento 5 Stelle – si mantiene inalterata la divisione in due blocchi di forze, con l’inconveniente di essere internamente promiscui perché mescolano liberali e statalisti, garantisti e giustizialisti…
Una situazione che certo non agevola quel processo di chiarificazione che all’Italia necessita come il pane per uscire dalla transizione infinita dopo il tracollo della prima Repubblica. In attesa che le situazioni internazionali provochino degli effetti sulla conformazione del nostro sistema politico, si registra tuttavia un dato di rilievo per le prossime elezioni presidenziali: nessuno dei raggruppamenti in Parlamento detiene il controllo sicuro della maggioranza necessaria per eleggere il Presidente della Repubblica.
- Verso l’elezione del Presidente della Repubblica. Agenda storico-politica (1) di L.O.R.
- Il caso Leone: quando il presidente è un ostacolo per il partito del Quirinale. Agenda storico-politica (2) di L.O.R.
- L’angoscia dei partiti per Draghi al Quirinale. Agenda storico-politica (3) di L.O.R.
- Quirinale: partiti allo sbando senza soluzioni. Agenda storico-politica (4) di L.O.R.
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