Per avere un chiaro esempio di come l’informazione operi (e opererà nei prossimi mesi) per occultare e condizionare le notizie sui referendum sulla giustizia, basta osservare la titolazione al riguardo sulla conferenza stampa di fine anno del Presidente del Consiglio.
Fra le testate che hanno riferito della risposta data da Mario Draghi circa la possibilità che il governo potesse opporsi alla loro ammissibilità davanti alla Consulta che si pronuncerà a febbraio 2022, nessuna ha citato i referendum sulla giustizia ma solo quelli sull’eutanasia e la Cannabis («Il Fatto quotidiano»: “Referendum eutanasia e cannabis, Draghi: “Governo non ha alcuna intenzione di costituirsi contro l’ammissibilità”; e lo stesso fa «il manifesto», che cita i quesiti sulla giustizia solo nel corpo dell’articolo).
Eppure la domanda del giornalista di Radio Radicale, Lanfranco Palazzolo, è stata: “Le volevo chiedere se il Governo si costituirà, attraverso l’Avvocatura dello Stato, nel giudizio di ammissibilità sui sei referendum sulla giustizia e sui due quesiti sull’eutanasia e la cannabis di fronte alla Consulta. Sarà a favore o contro l’ammissibilità?”.
Del resto, la risposta del premier – se riportata nella sua completezza – evidenzia un dato che acquista una certa rilevanza proprio per quanto attiene ai referendum sulla giustizia giusta, sostenuti da ben nove consigli regionali. Nella sua risposta Draghi ha detto: “Il Governo non si costituirà contro l’ammissibilità di questi referendum. Il Governo avrebbe potuto, in alcuni di questi referendum, creare delle condizioni per cui la loro presentazione sarebbe slittata all’anno prossimo. Non l’ha fatto. Quindi non c’è alcuna intenzione di costituirsi contro i referendum, per lo meno i referendum di cui abbiamo discusso nella decisione presa alcuni mesi fa”.
I temi di cui ha discusso mesi fa il governo sono proprio quelli relativi alla riforma della giustizia, avanzata dal ministro Cartabia. Con l’annuncio che non ci sarà alcuna opposizione da parte governativa all’ammissibilità dei referendum, il premier smentisce tutti coloro che nei mesi scorsi hanno insistito nel denunciare i sei referendum, voluti dai radicali ed appoggiati anche dalla Lega, come un ostacolo al processo di riforma della giustizia.
Draghi, inoltre, riconosce che non si sono create le condizioni per farli slittare e questo è dovuto, in primo luogo, alle forti resistenze verso qualunque modifica delle modalità di gestione dei nostri organismi giudiziari.
Si conferma così che, qualora i referendum sulla giustizia potranno svolgersi nella prossima primavera, essi saranno una occasione decisiva e discriminante per imprimere una svolta nel senso del cambiamento profondo delle impasse che bloccano il Paese. Sulla giustizia si misura la capacità della politica di trovare soluzioni alla crisi che non riguarda solo gli aspetti tecnico-giuridici, ma gli stessi equilibri tra poteri delle nostre istituzioni democratiche.
Che i media italiani stentino a prenderne coscienza è la dimostrazione di quanto arretrato sia il fronte sul quale essi si sono attestati, anche a causa dei legami promiscui e insani instauratisi durante la deriva demagogica e giustizialista degli ultimi venticinque anni.
Ridare il prestigio perduto all’ordine giudiziario significa ricondurlo nell’alveo costituzionale, ripristinando quella terzietà dei giudici che sola garantisce la tutela del diritto in uno Stato autenticamente liberale. I sei referendum danno la possibilità di procedere in questa direzione, attraverso il più ampio coinvolgimento dei cittadini elettori che così potranno rafforzare e potenziare la volontà di riforma.
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