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16/11/24 ore

Marc’Aurelio d’Oro all'ibrido Tir


  • Florence Ursino

Un titolo inequivocabile, quello del terzo e ultimo film italiano in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma: ‘Tir’, di Alberto Fasulo, che ha vinto il Marc’Aurelio d’Oro con un’opera seconda realizzata quasi totalmente on the road.

 

La macchina da presa del regista friulano si insinua nella vita di Branko, un professore croato che decide di abbandonare l’insegnamento per lavorare come camionista per una ditta di trasporti italiana: una vita nuova per un uomo la cui paga come docente è quasi quattro volte inferiore a quella di chi in Italia sceglie di sacrificare la propria esistenza nella cabina di un autoarticolato.

 

Fasulo sceglie così di seguire la quotidianità di Branko, fatta di asfalto, di carichi pesanti, di regole a cui sottostare, di solitudine, di una moglie e un figlio sempre distanti, abbandonati, bisognosi.

 

Attraverso una forma cinematografica ibrida a metà tra il documentario e la finzione – Fasulo ha seguito sei mesi il suo protagonista su un autocarro in giro per l’Europa -, ‘Tir’ svela allo spettatore un mondo sconosciuto, misterioso, filtrato quasi sempre attraverso luoghi comuni e intramontabili stereotipi: il camionista ubriaco e assassino, il camionista del calendario sexy e dagli occhi gonfi e rossi è in realtà un uomo schiavo della strada e di una veglia massacrante, un essere alienato e dimenticato.

 

Il tir è casa, è lavoro, è tempo sommerso. Ma Branko lotta per riemergere e Fasulo lo segue in questa sua quasi eroica impresa, chilometro dopo chilometro, sosta dopo sosta, scarico dopo scarico: un film che denuncia, ‘Tir’, ma anche premia, in un certo qual senso, un lavoro nobile e sottovalutato.

 

Un’idea originale, quella del regista friulano, che forse proprio in quella strada che percorre e descrive perde il ritmo e lo sviluppo necessari per risultare importate come la storia che racconta.

 

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