Russel Baze (Christian Bale) finisce in prigione per un incidente: rilasciato dal carcere dopo qualche anno, torna alla sua vita di indefesso operaio in una fabbrica di acciaio; ma quando il fratello minore (Casey Affleck), appena tornato dal servizio in Iraq, finisce in un losco giro fino a scomparire nel nulla, Russel si mette sulle sue tracce.
Ecco la classica pellicola americana fatta di violenza, vendetta, botte e utopie di rendezione. Scott Cooper sceglie il Festival del Film di Roma per presentare, fuori concorso, il suo ‘Out of furnace’, l’ennesimo racconto di un’America cattiva e abbandonata a se stessa, a quel crollo economico e spirituale che tanti, troppi, film hanno già raccontato.
La pellicola, perciò, a parte la solita ottima performance di Bale e dell’assassino nato Woody Harrelson, non offre niente di nuovo né dal punto di vista della sceneggiatura, né da quello registico: la narrazione si sviluppa senza particolari sorprese, senza sussulti, seppur minimi, e già alla prima inquadratura si ha la sensazione di sapere perfettamente come andrà a finire la storia.
Sebbene si intuisca il vago desiderio di raccontare una nazione frustrata, divisa tra le sue grandi e brillanti città e le sue periferie fatte di fumi tossici, fabbriche avvelenate e uomini che lottano conto l’Ingiustizia perenne, Cooper mette in scena un dramma senza passione, secondo i più banali cliché cinematografici.
Uomini in constante equilibrio tra il bene e il male, funamboli sulla traballante corda del sistema a cui sono costretti ad obbedire o contro cui combattono cercando di mitigare il proprio dolore esistenziale. Sicuramente un film onesto e dalle buone intenzioni, interpretato in maniera impeccabile e costruito diligentemente, ma fondamentalmente privo d’anima e d’ambizione: il suo destino sarà. Probabilmente, il girone degli ignavi.
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