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16/11/24 ore

Turchia, democrazia a rischio. Bonino crede nella prospettiva europea



di Vittorio dell'Uva

(da Il Mattino)

 

Cannoni ad acqua puntati ad altezza d’uomo, manifestanti costretti a chiedere asilo nelle sedi di Amnesty International di Istanbul e Ankara. E poi, tra bilanci che si fanno tragici, i roghi delle sedi del grande partito di governo del premier Erdogan. In Turchia, siamo di fronte ad una nuova emergenza democratica?

 

 

Il ministro degli Esteri, Emma Bonino, sembra escludere che sulle sponde del Bosforo sia stato attivato un altro incontenibile processo rivoluzionario: «Credo - osserva - che la reazione spropositata della polizia turca alle pacifiche manifestazioni di Istanbul abbia messo a nudo le contraddizioni del cosiddetto modello turco. In Turchia non c’è una dittatura ma piuttosto una "dittatura della maggioranza" come la definiva Alexis de Tocqueville. Nessuno mette in dubbio la legittimità democratica del premier Erdogan ottenuta in libere elezioni democratiche, ma in molti non accettano un’agenda politica imposta in assenza di pesi e contrappesi tipici di uno Stato di diritto».

 

- Eppure, le semplificazioni con cui l’opinione pubblica guarda ai grandi eventi internazionali inducono ad associare le sommosse turche alla primavera araba. È in atto una rivolta anti-islamica o qualcosa di diverso?

 

«I turchi non sono arabi. Taksim non è Tahrir. Ciò precisato, questa potrebbe essere una svolta nel rapporto tra Erdogan e la società turca. In gioco c’è la capacità della Turchia di diventare per davvero una democrazia consolidata dove, per intenderci, le libere elezioni sono solo una parte di un corpo più ampio di diritti e di doveri. Occorrono apertura al pluralismo di ogni genere e trasparenza nei processi decisionali. Se Erdogan continuerà ad ignorare tutto questo il consenso democratico sarà sempre di più messo in discussione».

 

- Il vice ministro Bulent Arinc ha difeso la polizia ed elogiato i movimenti ecologisti provando a collocare la protesta in un alveo ristretto con un limitato connotato politico, nonostante ormai si scenda in piazza non soltanto nelle principali città del Paese ma anche nella «repubblica» turca a nord di Cipro. Però lo stesso Erdogan ha poi fatto riferimento a «nemici esterni». Come giudica la reazione del governo alla sfida della piazza?

 

«Quando si fa riferimento ai nemici esterni non si dà un segno di forza ma di debolezza. La libertà di espressione e il diritto di manifestare in maniera non violenta sono un pilastro irrinunciabile della democrazia. Reprimere con l’uso sproporzionato della forza non appartiene ad una democrazia che vuole essere matura».

 

- Crede che il deteriorarsi della situazione possa indurre i generali turchi a darsi, nel segno della tradizione, un più pervasivo ruolo politico?

 

«Siamo in tempi molto diversi da quelli che furono. Oggi non è pensabile che i generali turchi possano pianificare progetti del genere».

 

- La Turchia ha più volte bussato alle porte dell’Europa resa diffidente dal carente tasso di democrazia. I nuovi fattori di instabilità possono incidere ancora più negativamente sul processo di adesione all’Ue.

 

«Io continuo a credere fermamente nella prospettiva europea della Turchia e del suo ruolo per la stabilità e la sicurezza regionale. Di più: penso che un processo di adesione credibile possa ancora avere un effetto benefico sulla dinamica politica del Paese. Un rinnovato impegno potrebbe fissare gli standard di democratizzazione che alla Turchia ancora mancano e delineare un tetto comune sotto il quale far convergere forze politiche ora così in conflitto tra loro. Va chiarito, comunque, che per questo occorre una leadership molto forte sia da parte turca che da parte europea».

 

- L’Italia, in che misura può dare un contributo?

 

«L’Italia deve continuare con forza la politica di apertura alla Turchia e tentare di convincere altri partners europei recalcitranti senza per questo tacere su punti specifici della politica turca che riteniamo inaccettabili».

 

- Come si collega quanto sta accadendo in Turchia alle tensioni in atto in Siria e in generale nel mondo arabo?

 

«La politica estera di Erdogan, che è passata da una tradizionale posizione filoatlantica e con solidi legami con Israele ad una geo-strategia mirata a far diventare la Turchia l’attore principale della regione, ha rappresentato un cambio di rotta non indifferente. Ora Ankara, dopo il coinvolgimento in Siria, soffre per le onde d’urto di molte situazioni critiche».

 

- Da uno scenario all’altro, ministro Bonino. L’Europa sembra trasferire in politica estera la disattenzione e la debolezza dell’eurozona, ma fa registrare anche impennate dei singoli. Appena pochi giorni fa Francia e Gran Bretagna sono riuscite ad ottenere la fine dell’embargo per le anni destinate ai ribelli siriani. Ne è derivato che la Russia ha subito rifornito Damasco di missili S300 per la difesa aerea. Il tutto molto in contrasto con lo spirito della conferenza di pace Ginevra 2. Lei ha partecipato recentemente al vertice degli amici della Siria da cui l’Italia è uscita perdente rispetto al divieto della vendita di anni, ma ha anche promesso che chiederà al parlamento italiano di assumere una posizione netta. Il governo la terrà ferma?

 

«Veramente è stata l’Europa ad uscire perdente a Bruxelles quando ognuno è andato in ordine sparso. L’embargo, comprendente misure di limitazioni finanziarie, concessioni di visti e vendita di armi, era stato deciso in un quadro giuridico comunitario. Durante la recente riunione dei ministri degli Esteri europei alcune misure restrittive sono state confermate, ma la questione «armi si-armi no» è stata «rinazionalizzata». Cosa che ho trovato davvero poco gloriosa. Per me la decisione da prendere non era «embargo si-embargo no» ma concentrare tutti gli sforzi sull’azione politico diplomatica. L’Europa doveva far guadagnare ai negoziatori alcune settimane di tempo per chiudere su Ginevra 2».

 

- L’Onu sembra zoppicare. Che ruolo può giocare Obama in questa faccenda?

 

«Il segretario di Stato, Kerry, è impegnato su questa partita e su quella della ripresa dei negoziati di pace in Medio Oriente. Ma l’Onu non è il guidatore di questo processo. Deve fare da garante e facilitatore».

 

- Il Mediterraneo torna ad assomigliare ad una polveriera. Addirittura si parla di uno scenario mediorientale da anni ‘70. Il ruolo dell’Italia in quale misura va rilanciato?

 

«I processi in corso sono complessi e pieni di ostacoli. Ricordo che agli inizi degli anni ‘90 i Balcani furono martoriati da pulizie etniche. Dalle ceneri, però, sono nati Paesi che ora sono entrati o si apprestano ad entrare nell’Unione europea. Ci sono voluti venti anni. Anche per i Paesi del Risveglio arabo è probabile che vi saranno progressi e arretramenti. Ma il Mediterraneo deve essere la priorità strategica dell’Unione e non solo dell’Italia. Ricordiamoci sempre che buona parte della nostra prosperità e della nostra sicurezza è proprio legata a questo mare».


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