“La legge 40 del 2004, quella che regola la procreazione medicalmente assistita, viola la Convenzione europea sui diritti umani. Lo stabilisce una sentenza della Corte di Strasburgo, che ha dato ragione a una coppia italiana portatrice sana di fibrosi cistica. In particolare, la Corte europea dei diritti umani ha bocciato l'impossibilità per la coppia (fertile) di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni.”
La legge non solo viola i diritti umani, secondo la Corte europea, ma presenta anche una vistosa incoerenza dal momento che la legge italiana autorizza l’aborto di un feto malato della stessa fibrosi cistica. In poche parole ai genitori portatori della malattia è proibito effettuare uno screening preimpianto per vedere se l’embrione è malato, ma non è proibito abortirlo nel caso poi dovessero accertarlo.
La demenzialità di questa incoerenza sarebbe lampante se non si intuisse, appena sotto la superficie, la volontà di erodere il terreno di legittimità che ancora permette l’aborto in Italia. Risolvere l’incoerenza con l’abolizione dell’aborto sarebbe stato plausibilmente il passo successivo, in violazione del referendum popolare che a maggioranza lo autorizzò, ma in chiara ottemperanza con i desiderata della Santa Sede.
Con questo, e con un costo di quasi ventimila euro per danni morali e spese a carico dello Stato, si affossa una legge che era già stata decisamente ridimensionata da successivi interventi della Corte Costituzionale italiana e dal TAR del Lazio che ne avevano via via smantellato l’impianto.
In pratica oggi resta solo il divieto di sperimentazione sugli embrioni e il divieto alla fecondazione eterologa, il cui caso storico più rilevante riguardò una certa signora forse vissuta duemila anni fa in Palestina e madre, pare vergine, di un noto predicatore itinerante.
Quello che è certo è che non c’era alcun bisogno di sottoporre le coppie portatrici di malattie ereditarie alla tortura supplementare di dover ricorrere alle vie legali, italiane ed europee, per veder affermato un principio così banalmente e semplicemente umano: chi sa di poter trasmettere una malattia deve poter accertare di non mettere al mondo figli sofferenti.
Qualunque cosa ne pensino i sostenitori dell’idea che questo mondo debba per forza essere una “valle di lacrime”, come da prassi ideologica dei cattolici di centro, di destra e, ahinoi, anche di sinistra: “È appena il caso di ricordare che la legge 194 non sostiene da nessuna parte che sia consentito l’aborto del feto perché malato” dice Giuseppe Fioroni dell’ala ex-Popolari del PD.
Nella mente di questi signori interrompere una gravidanza e abortire un feto non sano equivale a sopprimere un essere umano, nato e perciò vivente, ma malato. Confondendo così l’umano rifiuto a mettere al mondo esseri sofferenti con la pratica nazista di eliminare il malato anziché la malattia.
Ci si aspetterebbe, visto che la Roccella è in “cassa integrazione”, che il governo tecnico si adeguasse alle considerazioni coerenti della corte di Strasburgo, ma il ministro della sanità in carica, Renato Balduzzi – di cui ho parlato quasi un anno fa su Agoravox prevedendone le gesta accondiscendenti in modo imbarazzante verso le gerarchie d’oltretevere – pare che propenda per il ricorso contro la sentenza europea.
Restano, a difesa dei diritti civili, ma - visto il caso della Legge 40 - si direbbe anche dell’umana intelligenza, i Radicali, la cui punta di diamante, Emma Bonino, sconsolata afferma “Quante inutili sofferenze si sarebbero potute evitare”. E quante ne potremmo evitare se solo la sinistra italiana si decidesse a fare proprio un po’ di quel laicismo che solo la sparuta pattuglia dei Radicali continua strenuamente a difendere.
Fabio Della Pergola