Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

20/11/24 ore

Sentenza di condanna a Renato Farina: implicazioni inquietanti



 

La condanna del Deputato Renato Farina per “falso in atto pubblico” è, dunque, intervenuta per essersi egli fatto accompagnare nella visita in carcere di San Vittore, fatta al detenuto Lele Mora, da un accompagnatore risultato privo della qualifica di “collaboratore con contratto a prestazione continuativa” come, a quanto pare, richiede una circolare del Ministero della Giustizia, interpetrativa della norma di legge penitenziaria (26.7.1975 n. 354) che, invece stabilisce che l’autorizzazione del Giudice non è necessaria per i parlamentari (nazionali e regionali) “e per le persone che li accompagnano per ragioni del loro ufficio”.

 

La pena, due anni e otto mesi di reclusione senza sospensione condizionale, di per sé denunzia un’odiosa persecuzione. Mai per un “falso in atto pubblico” autentico è stato usato un trattamento sanzionatorio di siffatta gravità. Ma una sentenza simile, inflitta, ahimè, da un giudice “monocratico”, espressione d’uso comune che è sinonimo di “autocratico”, termine che una volta si attribuiva allo Zar di tutte le Russie, e ciò grazie allo “snellimento” del processo penale che, abolendo pressoché totalmente la collegialità del Tribunale e privilegiando lo “smaltimento del lavoro” alla ragionevole garanzia dell’equilibrato giudizio, è pronunzia che ha implicazioni di una gravità estrema e lascia trasparire retroscena psico-politici che nessuno, anche se ha levato proteste per l’esasperazione insita nell’incredibile accaduto, sembra avere saputo o voluto sottolineare.

 

Il falso, se si deve escludere, come appare quanto meno logico, che Farina si sia dilungato all’Ufficio Matricola del Carcere in una falsa descrizione dettagliata del rapporto esistente con la persona che lo accompagnava, sarebbe “implicito” nell’aver definito suo accompagnatore una persona priva di contratto di lavoro a tempo indeterminato (magari con appendici ex art. 18 S.d.L.).

 

Ora, a parte il fatto che le norme extrapenali cui la legge penale deve far riferimento possono essere ignorate o malamente interpretate dall’agente senza che ciò ricada necessariamente a suo danno, sembra abbastanza ardita la tesi della circolare ministeriale (cioè dei magistrati del Ministero Direzione Istituti Detenzione e Pena) secondo cui quella espressione… “che li accompagnano per ragioni del loro ufficio” si riferisca ad un ipotetico Ufficio di portaborse del Parlamentare (ma anche, che so, al cameriere, badante, portiere etc.) e non all’Ufficio di Parlamentare dell’accompagnato.

 

Una interpretazione un po’ restrittiva, ma almeno un po’ meno illogica della interpretazione data dai Magistrati di Via Arenula comporterebbe, semmai, non essendo esistente e definito un “ufficio” di portaborse, che ad essere consentito sia soltanto l’entrata con il parlamentare di eventuali Carabinieri o Agenti di scorta che “per ragioni del loro ufficio” debbono stargli alle costole.

 

Ma l’implicazione della sentenza di Milano, che appare, francamente, ”disinvolta”, tanto per non usare un altro termine, non riguarda tanto l’interpretazione effettuata (secondo un criterio per il quale la “circolare ministeriale” prevarrebbe sulla legge), e che può dirsi veramente allarmante è quella relativa alla non casuale mortificazione del mandato parlamentare, attraverso un’intromissione riguardante, a ben vedere, uno degli “interna corporis” del Parlamento, che una volta si ritenevano rigorosamente intangibili e che oggi sembra frequentemente scatenino i pruriti protagonistici di molti magistrati delle Procure, ma, inevitabilmente, stante l’unità “intangibile” delle carriere, anche quelli di alcuni loro “colleghi” giudicanti.

 

Se occorresse un’altra prova della dissennatezza vile ed ipocritamente autolesionistica con la quale il Parlamento abolì la norma costituzionale dell’autorizzazione a procedere, (art. 68 Cost.) il caso Farina la fornirebbe in sovrabbondanza. In sede di esame della richiesta di autorizzazione a procedere, infatti, si verificava anzitutto se il fatto asseritamente incriminabile fosse “espressione esterna del mandato parlamentare”. Che si sia abusato troppo spesso di tali qualificazioni, non significa che, in sé, l’esame non fosse utile e necessario a tutela della funzione parlamentare.

 

Ma la demagogia ha rotto tale barriera proprio mentre le persecuzioni e le esorbitanze della magistratura cessavano di essere una mera ipotesi astratta e divenivano una realtà incombente nella vita politico-istituzionale italiana. Ancora una volta l’interrogativo disperatamente retorico: dove sta la scienza giuridica, dove sono i costituzionalisti, i processualisti, dove sono i politologi illustri, i tuttologi che solitamente imperversano sulle prime pagine dei giornali “autorevoli”, che levano misurate riserve solo quando certe esorbitanze attingono personaggi a loro volta “autorevoli” che so, un Mancino, un Presidente Napolitano? E poi un’altra implicazione, un retroscena.

 

Tutti credo sappiano che non amo affatto le dietrologie. Anche di fronte all’enormità di questo caso, mi basta ed avanza ciò che c’è “davanti”, davanti agli occhi di tutti quelli che gli occhi non se li rovinano addirittura per tenerli ostinatamente chiusi e tappati in troppe circostanze. Ma, detto questo, non si può pretendere che io rifiuti quel tanto di “dietrologia” che non è, poi, tale, perché, è anch’essa davanti agli occhi di tutti e, piuttosto che sospettosità e malevolenza, per essere evocata, richiede dabbenaggine per essere ignorata.

 

L’on. Renato Farina ha un precedente che deve essere sembrato “enorme” a chi lo ha perseguito e giudicato, come certamente è enorme per una certa parte politico-culturale (si fa per dire) del Paese e, ahimè, della magistratura. Nel resto del mondo, di quello libero, che per le dittature il discorso è evidentemente diverso, rapporti ignobili con i Servizi Segreti sono quelli con i Servizi stranieri. In Italia sembra sia l’inverso. Quelli che hanno avuto a che fare con il K.G.B. sono stati (e, se sopravvissuti, sono) intoccabili.

 

Ma aver lavorato per i Servizi Segreti del nostro Paese (dopo l’avvento della Democrazia e della Repubblica, si noti bene) è considerata cosa ignominiosa. I magistrati, poi, hanno sempre chiesto che, per le loro “lotte”, non fosse risparmiato l’impiego dei Servizi. Ma poi hanno sempre considerato delittuoso qualsiasi manifestazione di “segretezza professionale” degli 007 operanti nel loro ambito (Contrada ne sa qualcosa). Vogliono Servizi Segreti “trasparenti”. Del resto la legge esige che le spie di cui si valgono i Servizi siano anti-fasciste.

 

Ora Renato Farina, già vicedirettore di Libero, fu radiato dall’Ordine dei Giornalisti perché, come egli stesso aveva dichiarato, aveva lavorato per i Servizi Segreti Italiani: questo si direbbe, fosse il punto, non per quelli Sovietici. Ma, quel che è peggio, c’è da presumere, agli occhi di certa gente, togata o no, è che Farina ha ottenuto dalla Corte di Cassazione l’annullamento di quel gravissimo provvedimento. La Cassazione, per certe Procure e per certi Magistrati d’avanguardia, è, di per sé, sospetta e sospettabile e più che sospetto è chi ne ottiene qualche pronunzia che appaia tale da contraddire le “lotte” di certi ben noti magistrati.

 

È stato questo il motivo perché la condanna, giuridicamente per tanti versi discutibile (quanto meno), è stata caricata di un furore tale da voler a tutti i costi mandare in galera un parlamentare per difetto di contratto di “accompagnatore” di ruolo di chi lo ha seguito in una visita (istituzionale) carceraria? Nessuno mi impedirà di crederlo.


Mauro Mellini


Aggiungi commento