A proposito di sprechi, se c'è un comparto bisognoso di essere razionalizzato per renderlo produttivamente più efficiente ed economicamente meno costoso questo è senza ombra di dubbio alcuno quello dei ministeri, la cui pletorica forza lavoro, volgarmente detta dei ministeriali, nel tempo è assurta a simbolo non proprio positivo degli eccessi di burocrazia e parassitismo della Pubblica Amministrazione.
Da un "governo del cambiamento" ci si aspetterebbe quindi un segnale tangibile nella direzione più virtuosa e consona a un Paese che non è più in grado di sostenere il carrozzone pubblico senza chiedersi il chi paga.
La mobilità interna, per esempio, potrebbe essere utilizzata con maggior frequenza e acume, per venire incontro alle carenze di personale, laddove queste si presentino, a fronte di un surplus di occupati in settori (non pochi) dove si riscaldano per lo più le sedie.
I margini di manovra ci sarebbero, se non si cedesse puntualmente alle logiche vecchio stampo, a cui non sembra sottrarsi Luigi Di Maio.
La notizia non ha fatto tanto clamore, né ha suscitato le critiche che ci si aspetterebbe in teoria, perché non è elettoralmente furbo dir male di qualcuno che in tempi di vacche magre decide democristianamente di assumere 200 persone.
Dov'è? Al Ministero dello Sviluppo economico, scelto nell'occasione dal suo titolare – ironia della sorte – per dare un cattivo saggio di continuità col passato. (A.M.)
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