Alla parola "liberalizzazioni" in Italia viene associata sempre e a prescindere l'aggettivo "selvagge", giusto per demonizzarle. Accade anche per le norme che il governo Monti ha disposto in materia di orari d'apertura dei negozi.
Dal 2012 gli esercenti possono sostanzialmente fare come vogliono e stare se ritengono in attività anche nelle feste comandate: Natale, Pasqua e Ferragosto inclusi. Il vantaggio è indubbio per il cittadino consumatore e per la concorrenza. A rimetterci sono invece i lavoratori del settore, il cui malumore aumenta in concomitanza con la maratona natalizia. Come all'Oriocenter di Bergamo, dove i dipendenti minacciano lo sciopero, dopo aver appreso che dovranno stabilire i turni per il 25 e 26 dicembre.
La polemica non è nuova, la politica s'interroga e il candidato premier dei 5 Stelle si catapulta sulla nicchia elettorale ritornando – in barba alla rivoluzione liberale promessa di recente - su un argomento già trattato questa primavera, più o meno in concomitanza con altre festività.
In proposito la Camera ha approvato un disegno di legge – a prima firma grillina di Michele Dell’Orco, che punta a introdurre per l'appunto delle limitazioni alle aperture festive dei negozi. Il testo giace da tempo al Senato e prevede – scrive Di Maio sul Sacro Blog – che su dodici giorni festivi all’anno sei devono essere di chiusura per i negozi. Questi giorni devono essere contrattati fra associazioni di categoria e i Comuni ma garantiscono che il 25% degli esercizi commerciali a rotazione deve restare aperto”. In questo modo si garantirebbe “il diritto al riposo”, anche a chi possiede o gestisce esercizi commerciali.
Ad Aprile Di Maio parlò di “concorrenza al ribasso che ha ottenuto come unico risultato lo sfaldamento del nucleo familiare del negoziante e dei dipendenti". Oggi, sulla base non si sa di quale indagine scientifica, dice che non c'è “beneficio economico , in quanto si è “solamente spalmato su sette giorni lo stesso incasso che i negozi facevano prima in sei”. Per contro, “le conseguenze sociali sono state disastrose”. Ne andrebbe, quindi, “della stabilità della famiglia, che se felice l'Italia riparte più forte”.
Ora, ammesso pure per assurdo che la ripresa economica dipenda dallo stato emotivo dei commessi che lavorano nei centri commerciali, è lecito chiedersi se sia davvero come dicono i grillini: che la felicità passi per tutti, ma proprio tutti, dal Natale in famiglia. Perché è pur vero che c'è chi non vede l'ora che arrivi il 7 gennaio... (red.)
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