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18/11/24 ore

Il PD schiacciato tra governismo e ottusa rincorsa della demagogia


  • Luigi O. Rintallo

Ci sono voluti appena tre mesi perché si manifestasse a pieno la previsione di Rino Formica, secondo il quale il voto favorevole al referendum sulla riduzione dei parlamentari sarebbe stata una maledizione per il Partito Democratico.

 

Oltre che “una resa all’anti-politica”, quella scelta certificava la totale assenza di una strategia da parte dell’attuale dirigenza ed esponeva il partito ad essere in balia della continua oscillazione fra l’opportunismo di un miserevole “governismo” (occupazione dei posti di potere) e l’ottusa rincorsa della demagogia.

 

Di fronte alla crisi del secondo governo Conte, aperta dall’iniziativa di Matteo Renzi, il partito di Zingaretti ha finito per dimostrare la vanità della sua posizione che è apparsa quanto mai contraddittoria. Se da un lato invocava un rilancio forte del governo, di fatto impantanato nell’immobilismo, ha comunque subito la tracimazione del premier Giuseppe Conte che, con la retorica consueta degli apparati di potere, ha utilizzato l’emergenza per imporsi e ritagliarsi spazi di autoreferenzialità assolutamente impropri nel nostro ordinamento costituzionale.

 

Dalla segreteria del PD, pare che in queste ore provenga l’indicazione di attestarsi in una trincea acriticamente a difesa del premier, tanto da accarezzare l’ipotesi di sbarazzarsi della scomoda formazione renziana quale alleato nella maggioranza.

 

Da “burattino di Salvini” – come ricorda Carlo Calenda – Giuseppe Conte è diventato per il segretario del PD il “punto di riferimento dei riformisti” ed ora viene sostenuto dai “governisti” della sinistra (da Franceschini a Speranza) con hastag quali #AvantiConte. Come una barca senza timoniere, il PD gira su se stesso senza definire alcuna rotta se non quella della preservazione di uno status quo che coincide di fatto con un buco nero, dove non si è in grado di prendere alcuna decisione né tanto meno di imprimere un indirizzo alla politica.

 

Al di là dell’abile propaganda, sia sul fronte sanitario che su quello economico, i proclami lanciati dalle dirette Facebook o dai Tg compiacenti restano lettera morta, perché i decreti attuativi restano nei cassetti dei ministeri.

 

A cominciare da quello della Salute, che non ha convertito in atti concreti gli annunciati stanziamenti per potenziare gli organici delle ambulanze o per creare le aree  sanitarie all'esterno degli ospedali, per cui il Cura Italia ha stanziato oltre 50 milioni. Quale rilancio ci si debba aspettare da questa compagnia resta un mistero.

 

Non si può non rimarcare come la piega presa in queste ore dalla crisi sia in contrasto con una lettura minimamente razionale di quello che l’ha preceduta. Evidentemente, Renzi non si è mosso da solo ma perché referente di un’ampia area di dissenso presente dentro lo stesso PD. Se adesso l’asse Zingaretti-Bettini-Franceschini consuma la completa rottura con Italia Viva, non si comprende quali potrebbero essere le conseguenze.

 

Di certo, nonostante le reciproche rivendicazioni di agire per l’interesse generale, è ben difficile credere che un governo rabberciato o comunque diviso al suo interno da sospetti o velleità di dominio possa dare un utile contributo per la risoluzione dei tanti problemi con cui dovremo tutti confrontarci.

 

Nell’equivoco irrisolto del PD, incapace di dare un apporto risolutivo della crisi politica in atto a cominciare da un processo di chiarimento definitivo verso il principale alleato dei 5Stelle e verso il ruolo che è andato a rivestire Giuseppe Conte, che non è affatto il riferimento dei riformisti bensì degli apparati corporativi autoreferenziali, sta il vero nodo da sciogliere.

 

E si ritorna dunque a quanto sostenuto da Rino Formica: il cedimento al massimalismo populista, ha portato il PD a rinchiudersi nel recinto di un “doroteismo” preoccupato solo di mantenersi al potere purchessia.

 

Nella prima Repubblica ciò ha potuto durare perché si rifuggiva dall’estremismo, ma oggi sposandosi con la demagogia si realizza un insano connubio fra governismo e massimalismo che trascina in un gorgo che non lascia scampo, proiettando sull’Italia le ombre di derive sudamericane.

 

 


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