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16/11/24 ore

Trattativa Stato-Mafia, «Repubblica» vs «Fatto»: l'opera dei 'puri' a colpi di testate


  • Luigi O. Rintallo

 La “guerra di carta” tra «Il Fatto» e «la Repubblica», descritta da Giampaolo Pansa su «Libero», ha più di un motivo di interesse. In primo luogo, chi scrive conosce bene entrambi i contendenti sia perché ha lavorato a lungo con il fondatore del quotidiano di Largo Fochetti e sia perché dello stile giornalistico del «Fatto» è stato campione.

 

L’articolo di Pansa ha poi il merito di inquadrare lo scontro in atto fra le due testate nell’ambito del loro confronto economico-editoriale, che sicuramente influisce assai più delle presunte distinzioni ideologiche e/o deontologiche. Infine, è interessante anche per quello che lascia capire della situazione interna a una delle principali lobbies politico-editoriali del Paese e del ruolo da essa giocato negli ultimi anni.

 

Va detto che la vivacità, per dir così, “aggressiva” del «Fatto» non è certo una sua esclusiva, visto che in passato fu praticata con le stesse tecniche proprio dalla «Repubblica». La necessità di creare bersagli per gli indignati in servizio permanente effettivo è una sua caratteristica. Rientra nella deriva fondamentalmente qualunquista che assume sempre in Italia ogni antagonismo, quando non riesce a porsi sulla linea di un confronto davvero politico preferendo dinamiche distruttive.

 

È l’altra faccia dell’informazione paludata e contigua al potere, perché anche tale giornalismo conosce bene il momento in cui ritrarsi e giocare al pompiere. Fa “cagnara”, ma quando poi si rischia di infastidire davvero il manovratore tutti zitti e seduti. Lo si vede anche nella campagna in atto, che ruota attorno alla trattativa Stato-mafia. Ci si guarda bene dal porsi domande scomode o dall’osservare che la trattativa vera è quella che ha condotto alla libertà migliaia di mafiosi, con l’uso alquanto spregiudicato delle leggi sul pentitismo.

 

Secondo Pansa, il duello tra Scalfari e i firmatari dell’appello lanciato dal «Fatto» si spiega anche in termini di concorrenza editoriale. In effetti, la nuova testata diretta da Padellaro, dopo la caduta di Berlusconi, aveva bisogno di un rilancio e di qui l’accendersi di una polemica al calor bianco, che ha investito la stessa Presidenza della Repubblica.

 

Del resto, i suoi editorialisti – a cominciare da Marco Travaglio – sono stati abili a creare una vera e propria impresa fondata sulla produzione di pamphlet, libri e performance teatrali. Ogni caduta di tensione potrebbe comportare un declino, da evitare tenendo vivo il contatto con un pubblico che si nutre sempre di nuovi oscuri scenari. Poco importa che per tutta questa produzione calza a pennello il detto: “chi non sa fare luce, almeno non faccia ombra”. Già, perché la costruzione di continui espedienti narrativi (dall’agenda di Borsellino alle trilaterali massoni-mafiosi-politici) servono più ai romanzoni alla Dan Brown che non ai reportage veritieri.

 

Consideriamo, per ultimo, lo scenario che va delineandosi all’interno di «Repubblica». Pare evidente che la diarchia fra il Fondatore Scalfari e il ceto medio riflessivo che si riconosce in “Libertà e Giustizia”, è entrata in crisi. Emergono differenze prima nascoste o silenti: in questo si capisce anche che il ruolo del proprietario Carlo De Benedetti è privo di una chiara prospettiva. Ancora una volta, da un imprenditore pare impossibile aspettarsi una consapevolezza politica della realtà.

 

Occorre capire se davvero si riuscirà a recuperare una sintesi, in assenza sia di un “nemico” come Berlusconi, che di un preciso disegno strategico. Per ora assistiamo all’ennesima conferma di quanto disse Pietro Nenni: “c’è sempre un puro più puro che ti epura”. Resta da vedere dove risieda la purezza dei soggetti in questione.


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