Povera Norvegia, la cui democrazia deve essere sottoposta al giudizio dei tuttologi commentatori italiani, perplessi di fronte alla condanna a 21 anni di Anders Breivik per la strage di Utoya.
Dimenticano, gli evoluti e civili italiani, che, a differenza di quanto accade nel nostro esemplare Paese, la condanna in primo grado è giunta al termine di un processo durato 10 settimane e, in generale, a poco più di un anno dalla strage.
Dimenticano, sempre i nostrani dispensatori di virtù civiche, che l’ordinamento giuridico norvegese non prevede l’ergastolo, e che la pena di 21 anni è il massimo previsto dalla legge. E, ancora, che dopo aver scontato la pena il termine può essere esteso se il detenuto è ancora reputato un pericolo per la società.
Si dimenticano molte cose, in questo Paese, in fondo. Come l’art. 27 della Costituzione italiana, incentrato sulla rieducazione del detenuto, ormai stralciato quotidianamente, ignorato, abbandonato (perfino dall’Unità che oggi chiede ai suoi lettori, in modo ironico e bieco: “Breivik è stato dichiarato sano di mente. E indovinate quanti anni di carcere sconterà...”).
Qualcuno diceva che “per ridurre la criminalità non basta chiudere a chiave i criminali in una stanza, ma bisogna educarli e aiutarli con i fatti a reintegrarsi nella società”. Non era un saggio ed illuminato italiano, ma il ministro della Giustizia norvegese. Perché gli ultimi a poter dare lezioni, siamo proprio noi.
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