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16/11/24 ore

Charlie Hebdo, la Francia un mese dopo


  • Silvio Pergameno

Nell’intervento “Il rapporto fra islamismo e democrazia e l’Europa”, comparso su AR il 27 gennaio scorso, si cercava di darsi ragione dei motivi per i quali il massacro che ha colpito la Francia, l’Europa e la democrazia in tutto il mondo fosse già scomparso dal dibattito politico e dall’attenzione dell’informazione. Oggi, a un mese dal terribile evento di Charlie Hebdo, torniamo sull’argomento con particolare riferimento proprio alla Francia, la nazione più direttamente colpita e oltraggiata.

 

Perché anche in Francia, al di là delle misure per la sicurezza e dal rafforzamento dell’intelligence, l’interesse prevalente è tornato sui problemi del giorno, quando non si può non rilevare come l’esposizione alle imprese del terrorismo abbia orizzonti molto ampi, coinvolga il mondo islamico all’interno della cultura religiosa che lo caratterizza, sia legata alla situazione del Medio Oriente e del Nord Africa e ai gravi conflitti in corso e assuma e anche sol che si pensi, ad esempio, alla presenza della Russia, che sostiene la tirannide siriana e fornisce l’uranio all’Iran per il programma nucleare. Problemi enormi di fronte ai quali gli stati nazionali europei, Francia compresa, continuano a balbettare.

 

Le imponenti manifestazioni nelle quali si è espressa la reazione dei francesi hanno avuto un carattere tipicamente nazionale, così come le posizioni espresse e le misure adottate dalle autorità governative: anche di fronte a una tragedia che ha scosso il mondo, come l’11 settembre del 2001 che colpì gli Stati Uniti, a Parigi e nel resto paese, è la “nation” nella sua interezza che è scesa in piazza. Naturalmente nella nazione francese convivono convinzioni e anime diverse, ma la “nation” resta la premessa, il punto di partenza e di arrivo, la cornice e l’orizzonte, il motore intimo dell’impegno politico e della vita politica della vicina Repubblica, impegno e vita che coinvolgono nel profondo l’anima della cittadinanza, la Francia che si ingolfa nelle derive fascisteggianti, ma anche la Francia repubblicana e anche la Francia socialista, la Francia in cui la nazione nella stessa psicologia di massa fa tutt’uno con lo stato.

 

La nazione francese è una costruzione culturale e sociale plurisecolare, che diventa fatto politico con la grande Rivoluzione ed esplode nel 1792, quando i prussiani invadono il paese per rimettere sul trono il re ormai prigioniero, ma sono sconfitti da un’armata popolare al canto della Marsigliese, che esprime con epico slancio l’anima della rivoluzione e i sentimenti profondi che la sostengono.

 

…Liberté, liberté chérie…. amour sacré de la patrie….le jour de gloire est arrivé…sous les drapeaux que la victoire….conduis, soutien nos bras vengeurs…”. Non manca nulla: libertà, patria, gloria, bandiere, vittoria, violenza vendicativa... questa è la grandezza della Francia, questa sintesi di moventi entusiasmanti che però si involveranno in contraddizioni profonde e dilanieranno la nazione al suo interno a cominciare dalla rivoluzione che divora i suoi figli nel momento del terrore e poi dall’avventura napoleonica, che subito rivelerà appieno l’innesto nel tessuto nazionale dello stato e della politica di potenza (e di grande potenza) con tutti gli straniamenti, le sciagure e le rivolte contro la democrazia che ne scaturiranno.

 

Andiamo alla Francia dopo la sconfitta del 1870 che vede i prussiani a Parigi: si medita la rivincita, si vuole il ritorno alla patria dell’Alsazia e della Lorena cedute alla nuova grande Germania unita e la democrazia è sotto accusa come colpevole della sconfitta, si arriverà a temere un colpo di stato della destra nazionalista, militarista e antisemita, la condanna del capitano Dreyfus (ebreo) sulla base di prove false scatenerà l’anima repubblicana e sconvolgerà la vita politica e intellettuale fino a ottenerne la revisione del processo, che assolverà il presunto colpevole e sentenzierà la condanna colpevole effettivo.

 

La resa dei conti verrà nel 1914 dopo i colpi di pistola di Serajevo, quando scompare la seconda Internazionale del mite internazionalismo e del pacifismo sentimentale e quando, nonostante il sacrificio di Jean Jaurès, ucciso da un nazionalista, i socialisti anteporranno a tutto la difesa della patria (così come i socialdemocratici tedeschi dall’altra parte), mentre il fronte repubblicano era già da tempo dominato da Gorges Clémenceau, di formazione liberal repubblicana (aveva difeso Dreyfus), ma aveva sentito profondamente l’umiliazione della sconfitta del 1871 e aveva subito una netta evoluzione verso posizioni fortemente nazionalistiche, che si concretizzeranno in pieno nelle clausole del trattato di Versailles dopo la prima guerra mondiale.

 

La tendenza antidemocratica del nazionalismo troverà ampi spazi nella destra francese, nel cui ambito matureranno tendenze di chiaro stampo fascista, che troveranno piena esplicazione quando nella Francia occupata dai tedeschi dopo la sconfitta del 1940 un governo fantoccio collaborazionista e antisemita (il c.d. État français, noto come “Vichy-nazi”) rivelerà appieno la sua natura, lasciando strascichi profondi nel paese, come dimostrano le origini del Front National di Jean Marie Le Pen, dalle quali ora soltanto la figlia del Fondatore, Marine, si discosta.

 

La sinistra francese non è certo nazionalista in questo senso, come non lo è il centro destra di stampo gaullista, comunque fortemente segnato dal pensiero “identitario”, con connesse posizioni reattive nei confronti dell’immigrazione; ma il legame di marca repubblicana e socialista con la nazione resta: libertà, democrazia, socialismo sono connessi con la nazione e con lo stato (nella strenua difesa della sovranità nazionale).

 

Un recente episodio significativo. Nel 2007 sotto la presidenza Sarkozy viene istituito il “Ministero dell’identità nazionale e dell’immigrazione” (tanto per non sbagliarsi). La sinistra reagisce, ma per prima cosa fa autocritica per aver abbandonato alla destra il tema dell’identità… certo un’identità diversa, della quale il tessuto connettivo sono le libertà repubblicane e le conquiste sociali; non può far proprio il nazionalismo antidemocratico, basterà un po’ di patriottismo…

 

 


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