Con le brevi considerazioni che seguono non si vuole certo esprimere un giudizio su un Presidente che in questi giorni entra in carica, né tracciare valutazioni sulla persona, né formulare previsioni sulla sua futura azione.
Sergio Mattarella eredita una situazione difficile, il cui livello di rischio lo si è visto commisurato proprio due anni fa nella tumultuosa vicenda parlamentare che portò alla rielezione di Giorgio Napolitano e che poteva suggerire la rievocazione della famosa invettiva dantesca: ”Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta….” E così Giorgio, che già aveva fatto fagotto e si era trasferito a Palazzo Giustiniani, rifece le valige e tornò al Quirinale, unico personaggio credibile rimasto per poter fare il nocchiero, a nostro avviso nel pieno rispetto della costituzione.
Mali antichi, dei quali tutti siamo corresponsabili, certamente i grossi più dei piccoli e non meno i famosi corpi intermedi, in cui si struttura la società, a partire proprio dai partiti e dai sindacati (compresi quelli padronali (ça va sens dire), troppo spesso ben imperniati nella tutela del proprio guicciardiniano “particulare” e non senza riflessi anche al livello costituzionale. E non penso tanto alla riforma del titolo V della Carta, quanto a quella dell’art.68, una riforma che incide proprio nella divisione dei poteri (venne eliminata l’impossibilità per i parlamentari di essere sottoposti a procedimento penale senza autorizzazione della camera di appartenenza).
Nella grande seduta del 31 gennaio scorso i presenti, forse memori della precedente vicenda di elezione presidenziale, sono apparsi piuttosto compunti e bastonati, propensi a un applauso nel quale, alla manifestazione di stima per il neoeletto, è sembrato configurarsi anche un momento di liberazione da un incubo, sia in una destra priva di qualsiasi bandolo di riferimento per essere una vera destra, sia in quella sinistra che stenta a far fuori l’ircocervo cattocomunista che cova in seno. Primo passo per mettersi sulla strada di una vera sinistra.
Il nuovo Presidente ha alle spalle una costante e convinta militanza nella Sinistra DC, poi Partito Popolare Italiano, poi Margherita, poi Ulivo, poi DS, e una carriera politica – ad alti livelli, ministeriali e di partito – alla fine interrotta dalla nomina a giudice costituzionale nell’ottobre del 2011.
L’aspetto che più ha colpito del nuovo Presidente è stata l’immagine che ha dato di sé: l’esatto contrario dei politici del giorno, troppo spesso ciarlieri, ridanciani e preoccupati di colpire in qualche modo l’immaginazione popolare…(non si sa con quanto successo). Il nuovo presidente ha offerto di sé un tono di massima serietà e compostezza, è sembrato parlasse più per se stesso che per quanti ascoltavano. Propone subito un profilo tradizionale dell’alta carica che oggi ricopre, quella di un arbitro imparziale garante della costituzione, profilo – si nota - che il suo predecessore ha delineato attenendosi, nei nove anni del suo mandato di gestione del periodo più convulso della storia della Repubblica, a un’interpretazione –secondo chi scrive – più conforme alle disposizioni della carta costituzionale di quella usuale, perché questa Carta attribuisce configura un Presidente della Repubblica, certo non presidenzialista, ma dotato di poteri propri ed effettivi e non meramente notarili.
L’elezione del nuovo Presidente è avvenuta in una giornata tranquilla per un parlamento in genere litigiosamente impegnato in un quadro di pur modestissime riforme istituzionali e in un ambiente popolare connotato da un distacco profondo dei cittadini non tanto dalle istituzioni quanto delle forze politiche, dal Palazzo. E il nuovo Presidente prende atto soprattutto della necessità di ricostruire le basi di un assetto di comune rispetto, proprio come punto di partenza per colmare quel distacco e proprio mentre egli assume la responsabilità di rappresentare l’unità nazionale e ne avverte le difficoltà e ne sente il peso, sottolineando con insistenza la necessità di servire con profonda coscienza l’interesse superiore del Paese.
Il ripetuto richiamo alla costituzione porrà al Presidente problemi di non facile soluzione, stante il fatto che la stessa è un documento che contiene principi diversi e lascia adito a interpretazioni molto estese: socialismo, liberalismo, dottrina sociale della Chiesa… e il Neoletto si è particolarmente soffermato proprio sugli aspetti comunitari, solidali e del volontariato che, come è noto, ampiamente corrispondono ai valori della tradizione cattolica, unendo la preoccupazione che la crisi economica possa compromettere diritti e conquiste realizzate.
Si arriva così al punto del discorso più significativo e indicativo: ”La strada maestra di un paese unito è quella che indica la nostra costituzione, quando sottolinea il ruolo delle formazioni sociali, corollario di una piena partecipazione alla vita pubblica”. Dalla centralità di questo passo consegue l’ampia prudenza del Presidente – che pur avverte la necessità di riforme istituzionali – quando parla di quelle costituzionali, perché “sussiste oggi l’esigenza di confermare il patto costituzionale che mantiene unito il Paese”, e richiama riferimenti limitati soprattutto nel campo della giustizia – ove si evoca solo la necessità di accelerarne i tempi – e, in generale, circoscritti alla parte operativa delle disposizioni che regolano le funzioni degli organismi pubblici, divenuti una camicia di forza che blocca le energie del Paese.
Il discorso può corrispondere alle attese di tanta parte della classe politica, forse anche di quella che si nutre di protesta, sicuramente di quella che ha responsabilità di governo e delle altre che, quando sono state all’opposizione, non hanno saputo interpetrarne il ruolo. Noi liberali - come tali anche sostenitori di un liberismo ordinato e corretto proprio per salvare concorrenza, merito e responsabilità – pensiamo che il bandolo della matassa vada ricercato nel tradursi dell’aspirazione alla libertà (non solo alla partecipazione) in quanto si intesse e si svolge e si intrica con i problemi della governabilità, della rappresentatività e dei diritti civili, in particolare quando si opera in un campo internazionale minato dal terrorismo e dalla presenza di potenze aggressive e in un campo europeo nel quale gli stati non sono all’altezza dei problemi e infine con un’Italia stressata, oltre che dalle mafie, dalla corruzione e dall’illegalità diffusa, da questioni discriminanti in materia di diritti civili, una dimensione con la quale anche papa Francesco si misura (e sulla quale proprio da ambienti mondo cattolico provengono i distinguo), una dimensione che ha già rivelato la sua potenza dirompente.
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