Già in tempi non sospetti il direttore di questa testata individuava nella “questione giustizia” il vero limite contro il quale sarebbe impattato, alla prova dei fatti, l’allora neo-segretario del PD.
È già storia, pur con una serie di punti tuttora oscuri, come si sono rotte le uova ed è stata fatta la frittata: il Premier che corre come un treno su binari tra retorica e buona volontà è giunto alla questione della giustizia ed il dissesto della stessa ha spinto una gran parte del giornalismo di regime, compreso quello più amorevole nei confronti dell’ex sindaco fiorentino, a trattare il problema della riforma che non c’è, della giustizia che latita, della magistratura in parte malata, delle carceri che scoppiano, pur con modi e risultati diversi.
Il sindaco con Twitter risolve con un proclama alla Renzi (oramai è entrato nell’immaginario collettivo, dallo “staisereno”, passando per “fatevelodiredaunsindaco” per arrivare alle slide) del tipo “entro giugno facciamo tutto” e, ad ulteriore dimostrazione della sua tentazione, che alla fine diventa meramente strumentale al problema, candida alle Europee, nelle liste del PD, l’ottimo professor Giovanni Fiandaca.
Intanto la fine di maggio si avvicina e con essa il tempo a disposizione per lo stato italiano per riportare la legalità nelle istituzioni carcerarie tecnicamente definite torturatrici dall’Unione Europea. I vari armamentari informativi del nostro stato premoderno si mettono in moto con i modi che li contraddistinguono e vediamo, per esempio, “Report” fare un lungo servizio di denuncia dello spreco di acqua e soldi dello stato nelle carceri, cercando i colpevoli (fin qui niente di nuovo) e diffondendo ancora il rinsecchito stereotipo (degno della sinistra universalista e solidale italiana) del rischio amnistia che mette i criminali in strada senza citare neanche di sfuggita l’ignorato appello della prima carica dello stato a occuparsi dell’emergenza umanitaria in cui si trovano le nostre carceri (anche qui, purtroppo, niente di nuovo).
Se l’organo di stampa per eccellenza del giustizialismo forcaiolo all’italiana, il Fatto Quotidiano, dopo l’esplosione del caso Bruti (Robledo si trova a denunciare i dettagli del sistema delle correnti che soffoca e corporativizza la magistratura), la Repubblica e il Foglio, che non hanno mai negato una certa simpatia per il premier, mettono sul piatto, incalzando il ministro della giustizia, la difficoltà insita nel tentare una riforma della giustizia che si configura sempre più come una “lotta di potere tra poteri”.
Libero Quotidiano, ovviamente in chiave anti governativa, trova tutti i vulnus di una riforma della giustizia che, in prospettiva, si configura come poco più che una “aggiustatina” che non può affrontare i problemi reali perché ne è vittima connivente e Angelo Panebianco, sul Corriere della Sera, individua, anche lui, la banale quanto grave questione che una riforma del sistema giudiziario è propedeutica per riportare una condizione di parità tra i poteri dello stato, oggi sbilanciata paurosamente verso la magistratura, che rimane fondamentale per garantire che una democrazia funzioni.
Questo ci riporta a fare delle considerazioni rispetto al fatto che, conoscendo l’utilizzo delle euristiche mentali da parte degli italiani palesemente sbilanciato verso l’errore cognitivo, si potrebbe demonizzare la magistratura, come si è fatto con il potere politico, e magari pensare di “risolvere” tutto nell’abolirla o riconvertirla nel circolo degli scacchi.
Se è vero come è vero che i pilastri di una democrazia sono basati sull’equilibrio e l’indipendenza reciproca dei poteri si capisce che sentire le parole del professor Giuseppe Di Federico al Comitato Nazionale di Radicali Italiani - “il processo legislativo, dal momento della sua immaginazione, al momento della verifica di costituzionalità è sotto il pieno controllo della magistratura” - ci evidenziano il problema come una scritta al neon.
La magistratura è uno strumento di garanzia della libertà del cittadino per difendersi dagli abusi del potere in tutte le sue forme come il Parlamento lo è rispetto alla partecipazione alla cosa pubblica. Una riforma fatta da un’istituzione corporativizzata per decorporativizzare un’altra istituzione corporativizzata che ha varie forme di controllo sulla prima sembra un assurdo matematico, ma questo è quello che si dovrebbe profilare all’orizzonte perché qualcosa possa funzionare in questo senso.
Resta il problema che, se quelli che si scontrano, come ci è sembrato, sono due blocchi corporativi e conservatori, non ci sono molte possibilità di venirne fuori senza reiterare il sistema: i nodi si riallacciano, cambia qualche faccia e , fino al commissariamento internazionale, il carrozzone riparte con la sua logica stantia che, dovrebbe oramai apparire chiaro, non possiamo proprio più permetterci.
é uscito il N° 118 di Quaderni Radicali "EUROPA punto e a capo" Anno 47° Speciale Maggio 2024 |
è uscito il libro di Giuseppe Rippa con Luigi O. Rintallo "Napoli dove vai" |
è uscito il nuovo libro di Giuseppe Rippa con Luigi O. Rintallo "l'altro Radicale disponibile |