La sentenza della Corte costituzionale che ha demolito la riforma berlusconiana del sistema elettorale conosciuto sotto l’appellativo poco edificante di “Porcellum”, ha fatto storia agli inizi di quest’anno, ma ritorna oggi agli onori della cronaca con la recente sentenza della Corte di Cassazione, che lo scorso anno aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale e che è tornata oggi sull’argomento per la necessità di concludere il processo dal quale la vicenda aveva tratto origine. E' una sentenza che rischia di suscitare un vespaio.
Ma procediamo in orine. La Consulta ha dichiarato incostituzionali le disposizioni del Porcellum – inserite, come è noto – nelle vecchie leggi elettorali, che introducevano le liste bloccate e il premio di maggioranza, con la motivazione che le prime violavano il diritto di scelta degli elettori, che veniva limitato ai soli partiti ma non anche alle persone da eleggere, e il secondo perché attribuiva un consistente premio al partito che avesse conseguito il miglior risultato nazionale alla Camera e i migliori risultati regionali al Senato senza stabilire una soglia minima di voti soltanto al di sopra della quale il beneficio poteva essere riconosciuto.
E questa è la parte che ha effettivo valore dispositivo della sentenza del giudice delle leggi. Il quale poi ha anche aggiunto, nelle motivazioni, una serie di considerazioni a margine per chiarire la portata della sentenza, considerazioni che non hanno valore precettivo e che sono intese a chiarire, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, quali conseguenze l’autorità giudiziaria ordinaria dovrebbe trarre dalla pronuncia di incostituzionalità di cui si è detto.
La dichiarazione di incostituzionalità, dice la Consulta, lascia la possibilità che consultazioni elettorali per la Camera e il Senato possano svolgersi con le norme residue (che poi erano quelle precedenti all’introduzione delle liste bloccate e del premio di maggioranza) ed essa ha effetto da quando le aggiunte sono entrate in vigore (il cosiddetto “effetto retroattivo”, che poi non è tale), ma si applicano soltanto agli atti che non abbiano esaurito i loro effetti, mentre, ovviamente, si applicano a quelli ancora operanti.
Sul punto la giurisprudenza della Corte è costante e conforme alla dottrina e sta a significare che le elezioni dello scorso anno non vengono invalidate, in quanto il procedimento elettorale si conclude con la proclamazione degli eletti. Ha anche considerato che le liste bloccate potrebbero essere considerate legittime ove si trattasse di collegi elettorali piccoli, per i quali sui può presupporre che i candidati siano conosciuti dagli elettori, cosa che non è se le liste sono lunghe.
Ora la Cassazione, come riferisce il prof. Alessandro Pace – docente emerito della “Sapienza” e costituzionalista di chiara fama – (la Repubblica del 23 aprile corrente), ha rilevato che la faccenda delle liste brevi e lunghe non va e che il divieto di liste bloccate deve considerarsi generale e ha poi precisato che la salvezza degli atti esauriti non comporta che la dichiarazione di incostituzionalità resti priva di effetti, perché essa opera negli atti in grado di produrre effetti, anche futuri. E qui il prof. Pace argomenta che cioè “la pronuncia di incostituzionalità spiega i normali effetti (negativi) sulla situazione giuridica del Parlamento eletto in violazione della libertà di voto”.
Che significato avrebbe una sentenza di incostituzionalità che non si preoccupasse del futuro e restare priva di effetti? Né, aggiunge anche il prof. Pace, la legittimità della XVII legislatura (la presente) potrebbe essere fondata sul principio della continuità delle istituzioni costituzionali, richiamato dalla Consulta per legittimare il passato. Un tale principio può bensì valere per brevi periodi, ma non può, per i prossimi quattro anni, costituire il succedaneo del voto popolare: sarebbe uno schiaffo alla democrazia.” Certo, conclude il giurista, le Camere non sono obbligate ad approvare una legge elettorale secondo le indicazioni della Consulta per essere subito dopo sciolte, ma da ciò non si può concludere che esse, ancorché giuridicamente delegittimate, possano modificare la vigente forma di Stato e di governo e durare fino al 2018, secondo le tesi del Presidente del Consiglio.
Ora a proposito i tutte queste considerazioni non si può non osservare che il principio della continuità dello stato non è richiamato dal giudice delle leggi quale motivazione delle pronunciate illegittimità costituzionali e soprattutto che proprio la Consulta nella parte delle sentenza dedicata a considerazioni di ordine interpretativo afferma esplicitamente che la sentenza non riguarda gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove elezioni. Il motivo è evidente ove si tratti di atti che non fanno riferimento al “Porcellum”, ormai inesistente.
In conclusione: se le Camere restano in vita in quanto la sentenza anti-porcellum è intervenuta in un momento nel quale l’elezione era ormai definitiva e non poteva essere più toccata, è evidente che queste Camere fruiscono dei pieni poteri che l’ordinamento riconosce loro e, se, come sta accadendo, vogliono emanare una nuova legge elettorale che fa salve le norme sul premio di maggioranza senza soglia e sulle liste bloccate, lo possono benissimo fare, restando, ovviamente, esposte – in caso di nuove elezioni governate da un “Porcellun bis” a nuovo giudizio di costituzionalità se qualche elettore (o forse meglio “votante”) promuovesse un nuovo giudizio contro di esse e sempreché la Corte costituzionale, se investita della questione, dovesse confermare (come quasi certamente sarebbe) l’ attuale giurisprudenza. Con un dubbio peraltro: che facilmente si riprodurrebbe quanto è accaduto col ”Porcellum”, cioè il nuovo processo arriverebbe sicuramente quando il procedimento elettorale è già da tempo concluso e come tale divenuto intoccabile.
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