La riforma del Senato ci dimostra molto chiaramente che se da un lato persiste ancora una fitta rete di corporazioni restia a qualsiasi ipotesi di cambiamento, dall’altro gli stessi attori che pretendono di opporsi a questo fronte conservatore e di configurarsi come gli attivatori di un percorso riformatore finiscono per essere figli dello stesso sistema partitocratico e corporativo che a parole ci si prefigge di combattere.
Si assiste, insomma, nota Giuseppe Rippa, direttore di Agenzia Radicale e Quaderni Radicali, nel suo video-editoriale, ad "uno scontro tra due blocchi conservatori", e in questo senso la vicenda del Senato appare piuttosto emblematica. L’idea, infatti, che muove il presunto innovatore Matteo Renzi, che una trasformazione monocamerale possa avviare una reale fase riformatrice, si mostra carente di qualsiasi consapevolezza sistemica sulla situazione del Paese e su tutti i limiti di fondo connaturati con il suo assetto democratico venuto a profilarsi dopo la seconda guerra mondiale.
"La scenografia messa in piedi dalla Guerra Fredda, all’interno della quale il nostro Paese svolgeva un ruolo centrale nel sistema degli equilibri mondiali tra Est e Ovest, portò i padri costituenti a definire una costituzione che era ricca di valori ancora oggi intensi, ma assolutamente inadeguata ad affrontare la questione della governabilità. Questa insufficienza democratica portò a ridurre di molto la capacità decidente del governo perché i trascorsi fascisti la configuravano come un rischio che bisognava lenire con un intervento istituzionale che attenuasse la ‘tentazione autoritaria’".
"Se questa è la scenografia di fondo – aggiunge il direttore di Agenzia Radicale –, si dovrebbe fare anche i conti con quello che si è prodotto in 65 anni di partitocrazia, così come si è venuta formando in chiave consociativa. Le alchimie istituzionali che sembrano voler reinnestare un ciclo di democrazia compiuta, molto spesso non tengono conto di questi trascorsi e della dinamica corporativa che aleggia nel Paese". Le vicende degli ultimi giorni, dunque, rappresentano segnali scoraggianti non solo per l’assenza di consapevolezza del radicamento strutturale della partitocrazia nel tessuto istituzionale, economico, sociale e giudiziario, ma anche perché, nonostante questa impostazione fallace, mirano a delineare "uno scontro tra chi vorrebbe conservare questo schema delle cose e chi invece sarebbe riformatore ed innovatore".
"Certo, esiste un fronte conservatore, quasi esasperante, composto dalla solita compagnia di giro che va da Zagrebelsky a Rodotà e Travaglio, e al quale vanno aggiunti anche i sindacati, gli industriali, i magistrati, ma quello che ci insospettisce è che anche coloro che dovrebbero essere i cosiddetti riformatori sono in fondo anch’essi figli di questa cultura assistita". Con il paradosso, ulteriore, che ormai risulta quasi impossibile perfino avanzare valutazioni critiche sulle attività di questi attori, per non essere additati come "frenatori" di un cambiamento le cui forme, tuttavia, ripetiamo, appaiono tutt’altro che coerenti.
"Se dunque – conclude Rippa – il fronte del Senato non è uno scandalo , ma anzi è un contributo che va nella direzione di maggiore governabilità, si sappia in modo chiaro e preciso che nessuna governabilità è assicurata attraverso alchimie di ingegneria istituzionale, e qualunque tentativo di far credere che esistano delle accelerazioni che possano risolvere questa questione non deve essere vissuto come il ‘totem’ dentro al quale c’è il cambiamento, ma va analizzato istante per istante".
La sensazione, insomma, è che due blocchi conservatori si scontrino e che questi abbiano tutt’altro che voglia di avviare un processo di cambiamento, che deve partire all’interno del corpo sociale, ma che nel corpo sociale non ha riferimenti perché "tutti i pozzi riformatori della coscienza collettiva sono stati avvelenati e distrutti". (E.A.)
Lo scontro tra due blocchi conservatori videoeditoriale di Giuseppe Rippa (Agenzia Radicale Video)
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