Non sappiamo se abbia ragione la deputata del M5S, Laura Castelli, quando afferma: "il Sistema ce l’ha con noi, ma è un Sistema sciocco". Fatto è che la richiesta di condanna per Grillo, da parte dei pm torinesi Padalino e Rinaudo, per aver violato i sigilli di una baita abusiva durante una manifestazione dei No-Tav, seguita da un’altra indagine contro il leader del movimento accusato di "istigazione di militari a disobbedire alle leggi" lasciano più che perplessi.
Il caso va considerato sotto tre aspetti, interconnessi fra loro, che riguardano l’evidente ricaduta politica dell’iniziativa, i risvolti giuridici e – infine – le stesse persone che l’hanno promossa.
Sebbene sia il risultato di una inchiesta iniziata nel dicembre 2010, la comunicazione del rinvio a giudizio, al pari della notizia della prossima iscrizione nel registro indagati come atto dovuto dopo l’esposto del segretario dei Giovani Democratici Fausto Raciti, contro la lettera-appello di Grillo ai vertici di CC e polizia all’indomani delle manifestazioni dei cosiddetti "forconi", giungono dopo una settimana di martellamento mediatico volto a screditare l’operato del Movimento 5 stelle in Parlamento e nel Paese.
Aver visto in sequenza svariati talk show (con relativi conduttori), impegnati nella denuncia del "fascismo latente" caratteristico dell’azione grillina e – subito dopo – registrare l’intervento della magistratura contro il suo leader, determina un rapporto causa-effetto inevitabile. Perfino in chi – come noi – è ben consapevole che il movimento di Grillo rischia di svolgere un ruolo da "oppositore di sua Maestà", vale a dire utile a preservare lo status quo dell’assetto di potere, l’azione repressiva in atto esorta a una riflessione sulla natura irrimediabilmente autoritaria che va delineandosi a livello istituzionale.
Che poi questa azione repressiva finisca probabilmente per rappresentare un vantaggio per gli stessi "grillini", ciò non toglie che rivela una pericolosa deriva insinuatasi dentro gli organismi politici e giudiziari.
Politici, perché l’esposto del segretario dei Giovani Democratici è rivelatore di un "guasto" che ormai va ripetendosi troppe volte. Anziché agire sul piano della dialettica e del confronto si preferisce – in nome di un culto ipocrita della legalità – spostarsi sul piano puramente processuale, imprimendo uno slittamento pericoloso che contiene in sé l’impronta non di una chiara percezione liberale e democratica ma piuttosto quella di un dispotismo, proprio – questo sì – del regime. D’altro canto, la sezione giovanile del PD non è nuova a questo tipo di ipocrisie, come dimostrò il caso della messa in scena contro il ministro Cancellieri, trattata già in un altro articolo.
Per quanto riguarda il risvolto giudiziario di tutta questa vicenda, appaiono condivisibili le perplessità manifestate sull’opportunità dei procedimenti avviati. Mentre – in prossimità delle votazioni regionali – l’ex sindaco torinese Chiamparino vede dileguarsi ogni accusa nei suoi confronti, dalla procura torinese viene questa richiesta di condanna a nove mesi per Grillo, in quanto penetrato in una baita cui erano stati apposti dei sigilli.
Nove mesi di reclusione per aver partecipato a una manifestazione nei pressi di un edificio, da cui i sigilli erano volati via e che ha coinvolto decine e decine di persone alle quali non è stato contestato nulla, come testimonia Laura Castelli.
I contorni sono ancor più confusi circa l’altra inchiesta che si sarebbe aperta contro Grillo, colpevole di aver istigato le forze dell’ordine a disobbedire agli ordini. Risultato come si è detto dell’esposto del deputato siciliano del PD, Fausto Raciti, essa contesterebbe al leader del M5S la violazione dell’art. 266 del Codice Penale.
Un articolo già giudicato parzialmente illegittimo da una sentenza della Corte Costituzionale, risalente al 21 marzo 1989. Ora, che si immaginino i poliziotti come esposti al condizionamento di una lettera aperta di Grillo è quanto meno offensivo nei loro confronti. Se poi si pretende di associare la scelta di essersi tolti i caschi protettivi durante la manifestazione dei "forconi" all’appello di Grillo, significa agire in piena malafede. In quell’occasione la polizia ha agito nello spirito di limitare il conflitto evitando una inutile drammatizzazione del confronto con i manifestanti.
Resta di tutta questa vicenda la sgradevole e preoccupante sensazione che in non pochi casi l’azione giudiziaria rischia di rispondere poco ai principi di legalità tanto decantati, quanto invece a uno spirito di fazione.
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