Dal Pd sembrano provenire segnali confusi e contraddittori. Il segretario afferma che le elezioni non sarebbero vantaggiose per il Paese. Nel contempo non perde occasione per punzecchiare con asprezza l’attuale esecutivo. E intanto considera un eventuale rimpasto come un deprecabile rito da prima Repubblica.
E dunque? Proviamo a voltarci indietro. All’indomani dell’ascesa di Matteo Renzi alla guida dem, Stefano Fassina poneva un problema: la delegazione del partito al governo non corrispondeva ai mutati equilibri interni; non rappresentava i nuovi vertici. Secondo la consuetudine, perciò, sarebbe stato necessario un “rimpasto”, dando vita a un Letta bis.
Ma il sindaco di Firenze sembrava contrario a una “sovraesposizione” governativa dei suoi. Pareva deciso a riformare la legge elettorale, a superare l’attuale bicameralismo (ciò però richiederebbe tempi non brevi) e a proporsi quindi come candidato del centrosinistra a Palazzo Chigi.
Forse non è lontano dal vero il direttore del quotidiano Europa Stefano Menichini quando scrive del “conflitto interno tra il Renzi che sente a un passo l’obiettivo della vita e quello che sa che sarebbe meglio arrivarci spinto dal voto popolare”, senza ripetere l’errore compiuto a suo tempo da Massimo D’Alema.
Qui giunti, si ripropone un’antica domanda: basta la razionalità (in senso stretto) per comprendere le vicende e le scelte politiche oppure i fattori emotivi e “sentimentali” giocano un ruolo non secondario?
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