“Troppo grandi per poter essere ignorati”. Il Washington Post qualche giorno fa si riferiva ai nostri debiti, ovverosia, al grande fardello a cifra plurima che risponde al nome di debito pubblico: una bomba a orologeria piazzata sotto la sedia dell’UE ben più distruttiva di quanto non si dica sui presunti effetti collaterali di un ritorno della Grecia alla Dracma.
La questione è annosa e ogni tanto qualcuno – ora è la volta della stampa Usa – ammonisce sul pericolo incombente, mentre i pompieri di turno – più che altro gli esponenti del governo di volta in volta in carica – si affrettano a rassicurare che la situazione è sottocontrollo e che si sta lavorando per perseguire l’obiettivo della crescita, grande assente da decenni, che ci consentirebbe di bypassare anche l’ostacolo dei conti in rosso.
Tuttavia, la certezza che ciò avvenga non c’è. Molto è legato a come il Paese riuscirà a riformarsi. Ma i tempi non saranno brevi, anche perché - come è noto - le riforme strutturali, quelle serie, casomai si faranno davvero (tuttora siamo al Caro amico…), hanno incidenza nel medio-lungo periodo. E chi afferma, per esempio, che col Jobs act - per altro ancora impantanato sui decreti attuativi, sta già avendo effetti positivi - racconta una balla.
Per la crescita qui e ora si può invece sperare e contare su altri fattori. In tal senso, è una buona notizia quella legata alla congiuntura internazionale sul crollo dei prezzi del petrolio o sul buon rapporto euro/dollaro. Peccato che il debito pubblico – sempre lui – si riveli un freno e non permetta di cavalcare in pieno l’onda positiva che arriva dall’esterno, come invece può chi ha il bilancio meno disastrato. Ci si affida così al Cavallo di Troia Tsipras, per provare a espugnare il fortino di Bruxelles e strappare un allentamento dei cordoni della borsa, spendere e far girare, come si usa dire, l’economia.
L’alternativa sarebbe quella di abbattere finalmente il debito e recuperare risorse da impiegare per il calo delle tasse o per fare investimenti produttivi. La cosa è facile a dirsi, un’impresa titanica a farsi, soprattutto per una nazione che ha vissuto e vive per buona parte di debito pubblico. Bisogna quindi tener conto che dietro a ogni spreco di denaro ci può essere una persona o una famiglia che vive o sopravvive grazie allo stesso; che ogni spreco eliminato può voler dire “lacrime e sangue”, ma anche meno consensi e meno voti.
Non deve meravigliare pertanto la ritrosia dei governanti a mettere mano realmente ai tagli di spesa; ed ecco anche spiegato in un certo senso perché il Piano Cottarelli finisca fra la polvere dei cassetti ministeriali.
In questo senso non è solo una facile battuta ribaltare la frase del WP citata in apertura, per affermare quanto il debito pubblico italiano sia troppo grande per NON essere ignorato. Non a caso, Matteo Renzi in proposito glissa e parla d’altro: di gufi e di iettatori. Un modo, forse, per ammettere che non ci resta che affidarsi alla sua buona stella, più volgarmente detta c…!
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