di Dario Caputo
L’Arma dei Carabinieri, come l’intero mondo delle Forze dell’Ordine, è stata vittima più e più volte dei colpi criminali della mafia, causando molte vittime che, nel loro cuore, avevano un unico e grande sogno di libertà. Uomini e donne di valore, appassionati del loro lavoro che purtroppo rientrano tra le morti dimenticate, come ad esempio Antonio Mancino: uomo e carabiniere, prima vittima del bandito Salvatore Giuliano.
Nato a Sparanise, in provincia di Caserta, nel 1919, Antonio viene chiamato come Appuntato dell’Arma in uno dei luoghi del Paese ancora in ginocchio, ancora in guerra, occupato militarmente dalle truppe inglesi e americane che in quei periodi avevano liberato la Sicilia e a breve sarebbero diventate gli alleati della nuova Italia.
Da Sparanise, Mancino arriva nei difficili territori di quell’isola tormentata non solo dalla guerra ma anche dal cancro della mafia e, il tormento di quella bellissima area della nostra Penisola, quel ragazzo campano chiamato a difendere la libertà in Sicilia, lo inizia a provare giorno dopo giorno sulla propria pelle.
Nonostante fosse giovanissimo quando si trasferì in Sicilia, Mancino aveva già la tempra di un uomo forte, dai valori inossidabili, tanto che s’impegna in prima persona a far cessare quel tragico susseguirsi di eventi che, solo fino a poco tempo prima, aveva sentito ed ascoltato nelle parole e nei racconti di chi, prima di lui, aveva iniziato a combattere la mafia.
Gli è ben chiaro fin da subito quanto sia difficile mantenere l'ordine e la quiete pubblica in quel grande caos che era la Sicilia del lontano, ma pur sempre vicino, 1943 e infatti il nostro Appuntato, dopo avere imposto l'alt in un posto di blocco ad un giovane a cavallo, viene colpito a morte da un proiettile esploso in fuga.
Il colpo, fatale per Mancino, venne sparato proprio da quel Salvatore Giuliano che, con il passare del tempo, diventa un vero e proprio criminale mafioso che, nel periodo successivo a questo omicidio, crea una banda criminale autrice di numerosi spargimenti di sangue di innocenti in tutto il nostro territorio.
Più che un "Robin Hood", come lo definirono alcuni, fu, fino al 1950 (quando la sua vita si spense) un fanatico sanguinario che si prestò al gioco degli agrari, dei separatisti e della mafia uccidendo uomini delle Forze dell'Ordine, padri, madri e anche bambini.
La storia del nostro Mancino deve esserci d’insegnamento come d’insegnamento devono essere le storie di chi ha fatto primeggiare, anche a discapito della vita, la lotta contro l’illegalità e gli ideali di un mondo sano.
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