di Dario Caputo
La parola “mafia” inizia a far capolino nel nostro “vivere quotidiano” nell’ormai lontano 1863, prima in una commedia dialettale e subito dopo in un documento della Questura di Palermo. In un lasso temporale che copre una finestra che va dall’Ottocento al Novecento, e fino ad oggi, con essa è stata indicata una fenomenologia criminale tipica della parte centro-occidentale della Sicilia, caratterizzata da un profondo radicamento nella cultura locale e da connessioni con il potere politico ed economico: ma ora, almeno da un punto di vista prettamente territoriale, non è più così visto che il fenomeno si è radicato non solo in Sicilia, non solo nel resto della nostra Penisola ma anche oltre i confini nazionali.
“La mafia è una montagna di merda”, continuava a ripetere Peppino Impastato che ha dato la sua vita per i suoi ideali e che mai avrebbe pensato di tradirli anche a costo di andare contro la sua stessa famiglia, di andare incontro alla morte. È proprio il coraggio di Peppino e di tanti uomini come lui che dovrebbe guidare, come un faro nella notte, le nostre azioni, ricordando che personalità come l’uomo dei “cento passi”, come i giudici Falcone e Borsellino hanno donato la loro vita per la legalità, per la giustizia e per la lotta ad un cancro dei tempi antichi e moderni.
Quello che oggi appare evidente è che di queste figure che hanno fatto la storia del nostro Paese si sa tutto e niente e che il luogo che, per eccellenza dovrebbe divulgare il loro ricordo, cioè le scuole, centro nevralgico della crescita delle nuove generazioni, fanno ben poco per rinforzare ideali di questa portata.
Semplicisticamente si tende a trovare nei giovani il colpevole quando, in realtà, i primi a mostrare una grande indifferenza su tali tematiche sono proprio le istituzioni, ad eccezione però del giorno della commemorazione della loro morte: lì tutti sono pronti a mostrarsi in prima fila con il petto gonfio di cordoglio e utilizzando parole cariche di stima.
Per promuovere una sana e vera informazione, è necessario un cambio di rotta; è necessario riportare alla luce tutte quelle storie di uomini e donne, dimenticati dai più, che hanno perso la vita per conto della mano insanguinata dei mafiosi, avendo una sola ed unica colpa: non aver mai piegato la testa e aver posto, come stella polare del proprio cammino, la lotta contro ogni tipo di criminalità.
Questo è l’obiettivo che si prefigge questa nuova rubrica cadenzata, sia testuale che video: far rifiorire queste vite grazie al contributo non solo di esperti del settore come personaggi pubblici ma anche di persone al di fuori di questo mondo ma che, comunque, ne sono in connessione.
Sono centinaia, migliaia le vittime uccise per mano della criminalità organizzata, in ogni sua forma, ma sempre tale rimane: molti di questi, purtroppo, sono anche quelli che sono morti al posto di altri, o per sbaglio, in faide mafiose; ecco, su tutto questo e su altro, dobbiamo ragionare, confrontarci e riflettere sempre di più, per far rimanere in vita, o far uscir fuori, la verità.
Tematiche simili con tutti i personaggi che vi ruotano intorno vanno ricordati sempre, nelle scuole e in qualsiasi luogo pubblico: la gente e, specie i ragazzi, devono sapere e conoscere perché alla domanda se la loro morte è stata vana deve esserci un’unica risposta: no!
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(disegno da Nuvola dei Lettori)