Alberto Asor Rosa, scomparso di recente e pertanto commemorato con grande risalto, ai famigliari vanno le più sentite condoglianze. Alberto Asor Rosa, spesso chiamato qui a Roma senza il nome, per tanti anni è stato il perno su cui ruotavano le posizioni di una certa sinistra, un fenomeno che andava molto al di là della sua stessa figura di cattedratico, scrittore e ideologo. Questo perché era stato un esponente del PCI molto ben considerato sia dai vertici sia dalla base più acculturata, grazie ai suoi articoli sui giornali, un dotto di comunismo, un simbolo sul quale rifarsi.
Com’è stato ricordato, ad esempio, egli uscì dal PCI nel ’56 per protesta contro l’invasione dell’Ungheria, quindi appartenne a quell’assurdo fenomeno di tesserati di partito che ricreduti, invece di lasciare definitivamente l’ideologia comunista per andare verso approdi democratici, come sarebbe stato logico, ne uscirono verso sinistra, diventando anzi ancor più comunisti di prima.
Questi fuoriusciti, continuarono la militanza e dal riferimento sovietico, passarono a quello cinese che in quegli anni si stava sempre più affermando anche da noi come mito estetico e ideologico. Pensiamo alla “rivoluzione culturale” del ‘66 di Mao, ricorderete certamente “La Cina è vicina” di Marco Bellocchio, film epocale del 1967.
Insomma dopo aver mascherato ed edulcorato gli errori e i milioni di morti vittime dello stalinismo, questi dissidenti sono passati a ripetere lo stesso maquillage al maoismo, altro grande sterminatore di interi popoli.
Questi maestri, Asor Rosa in testa, passavano come santi nel paradisiaco mondo intellettuale: i moderati e i cosiddetti liberali li apprezzavano e l’atea base di sinistra addirittura li idolatrava.
Per anni nelle assemblee del movimento studentesco si sentiva citare quello che aveva scritto o detto Asor Rosa, che sembrava il guru degli studenti quando invece era un barone, come del resto Argan, Muscetta, Trombadori, Sapegno e tanti altri cattedratici, peraltro eccellenti, Umberto Eco ad esempio, nelle loro discipline ma pronti ad appoggiare la contestazione e alcuni, financo il terrorismo purché antisistema: un paradosso aberrante che presentava questi personaggi quali padri della patria quando hanno appoggiato gli errori economici più colossali, giustificando carestie, purghe o esecuzioni di innocenti, pulizie etniche e le infinite stragi perpetrate da chi non dava e non dà valore alla vita.
Incessantemente la componente “progressista” seminava malumori a oltranza con scioperi e manifestazioni violente perché ci voleva nel blocco socialista dell’Est. Dal dopoguerra in poi ha tormentato tutti minacciando un ritorno alla guerra civile e tutt’oggi cantano “ Bella ciao” con quell’intento, mascherandolo però come rivendicazione di democrazia.
Ricordiamoci gli anni terribili della cortina di ferro che vedeva invasioni di carri armati in Europa orientale, la Iugoslavia e Albania in armi e una Grecia che fino al colpo di stato dei colonnelli era stata in guerra civile perché i partigiani volevano allineare la Grecia al blocco comunista. Attualmente, cambiando maschera, si sono inventati i depositari del liberalismo contro il turbo-capitalismo e con un capolavoro di ipocrisia davvero machiavellica, i bellaciaoisti si spendono per l’Ucraina e per i manifestanti di Teheran.
Questo fenomeno, conosciuto come egemonia culturale della sinistra secondo l’insegnamento gramsciano, ha consolidato nei loro privilegi tutta una classe di rispettabilissimi personaggi. Viceversa alcuni alla loro morte, come è il caso di Pasolini, dopo essere stati discriminati in vita, sono commemorati ed elogiati.
Nella cultura ci troviamo di fronte solo, dico solo, artisti militanti, ditemi che senso ha al di fuori dell’ideologia comunista essere intellettuale, regista, attore o come pure essere giornalista militante se non quello di denominare la faziosità “onestà intellettuale”.
Così facendo, con questa gestione della cultura, sono stati nominati falsi personaggi al ruolo consono dell’ideologia, spesso partitica (o almeno di quello che ne resta) che non ha mai avuto a che fare con quello per cui sono preposti.
Abbiamo così più di una generazione culturale che alla fine del mito comunista altro non sono che arnesi inutili, ex guardiani di un ideologia sempre più improponibile perché strasuperata dalla storia.
Come nel teatro di Ionesco gli fanno sponda gli stessi che gli dovrebbero essere contro, cioè la destra e i suoi media, che ne decantano i meriti e la nostra fortuna di averli avuti con noi.
Basta vedere gli elogi funebri di tanti personaggi di quella certa sinistra per accorgersi dell’aberrazione intellettuale che fin quando sono stati solo dei politici si può comprendere, ma per gli esponenti culturali e gli artisti è manipolazione indegna senza mezzi termini. Una sopraffazione masochista pesante che abbiamo subito e chissà per quanto tempo ancora dovremo tollerare.
Come mai dal 1989 a oggi, a trentatré anni dall’abbattimento del muro di Berlino, tutto ciò non è stato capito?
Quello che sta avvenendo è che, nonostante un governo di destra, ancora si continua la mascherata, si fanno buoni i cattivi maestri, tanto che lo stesso anniversario di Pasolini ci viene venduto con questa criticità. In questi giorni è in atto una campagna sui social che parla di nostalgia di Berlinguer … sempre quella “certa” sinistra ci impartisce lezioni di giustizia sociale, sempre va all’attacco a testa bassa con il politically correct come un elefante in un negozio di cristalli nonostante le cantonate prese con i casi di Abu Bacar Soumahoro e di Panzeri, ripetendo sino alla nausea che il male sta tutto dalla parte che non è comunista, senza che questa parte, che sarebbe maggioritaria, sappia articolare un’argomentazione contraria.
Il mito dell’intellettuale di questa ideologica sinistra in Italia, insomma, è stato costruito sulle peggiori nefandezze della storia del Novecento, di cui professori e giornalisti, registi e stilisti sono stati complici consapevoli, uscendone vincenti, puri e sempre pronti alla protesta e al distinguo ai danni prima della DC e poi delle destre, le cui responsabilità (che pure ci sono) considerati tutti come partiti di delinquenti. Un vittorioso oscuramento della realtà ancora in atto, prova della superiorità della narrazione di “questa” sinistra su qualunque altra narrazione.
Dico tutto questo perché una volta per tutte bisogna fare i conti su una mostruosa distorsione culturale che ha fatto apparire la Russia sovietica come il paradiso e l’Occidente capitalista come l’inferno, una falsificazione che scontiamo tutt’ora con la guerra d’Ucraina dove gran parte di chi gestisce il pensiero culturale non sa dove tracciare la linea che demarca noi occidentali dai nostri nemici.
Abbiamo tutto un dopoguerra da rivedere e da valutare senza i principi teorici marxisti cui si rifacevano personaggi ingombranti quale Alberto Asor Rosa e tutta la sua schiera, intellettuali militanti che si sono appropriati la cultura italiana dandole un taglio aberrante, anche se consono alla loro ideologia, e determinandone di fatto la decadenza. Infatti, pur essendo studiosi di grande spessore, forse perché nati prima della seconda guerra mondiale, hanno educato una generazione di mediocri educatori, che a sua volta ha prodotto una generazione di laureati incapaci, col risultato che adesso annoveriamo fra i bravi scrittori Murgia e Saviano. E mi fermo qui, ma la lista sarebbe lunga…
Mi chiedo e vi chiedo: quando verrà il momento che si avrà una narrazione della nostra storia culturale senza gli aggiustamenti e le selezioni operate dall’ideologia comunista? Non vi sembra assurda l’impostazione in antagonismo tra classi sociali la cui visione culturale valida è di quella subalterna, cioè quella visione antesignana dei Black Lives Matter che sta facendo carne di porco di tutto il nostro passato?
Dobbiamo ancora combattere la borghesia quando quella che trionfa non è quella storica ma quella promossa dal PCI poi PD, ovvero è la stessa che la combatte, causando il cortocircuito culturale che correntemente viviamo? È verosimile una classe dirigente che, di fatto, è tutta formata dalla cultura di questa sinistra, quella che vuole la disfatta dell’Occidente, decidere del nostro futuro?
È accettabile avere istituzioni sempre più incapaci di esprimere la mission cui sono preposte? Il discorso è generale: lo vedi nella gestione della città dove una parte dei funzionari e degli operatori culturali è schierata contro la classicità e contro le nostre tradizioni, quando per incarico istituzionale ne hanno la tutela e ne amministrano i fondi, causando quei casi di mala gestione e scempi che puntualmente diventano gli show mediatici …
(foto GettyImages)