Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

22/12/24 ore

Caso Becciu, una macchinazione ai danni del cardinale?



di Camillo Maffia

 

La notizia che dovrebbe comparire sulle prime pagine dei quotidiani che hanno innalzato la gogna mediatica per il cardinale Angelo Becciu, e che invece non c'è o è relegata a qualche trafiletto, è la conferma che Alberto Perlasca, il principale accusatore del prelato, aveva un suggeritore. Si tratterebbe di Francesca Immacolata Chaouqi, nome che è più volte comparso nelle cronache del processo in quanto le sue presunte rivelazioni avrebbero influenzato il lavoro degli inquirenti e perfino, secondo alcune indiscrezioni, le decisioni del Papa.

 

Ma questo è ancora da dimostrare. Il dato di fatto è che Perlasca ha confessato: due signore, la Chaouqi e l'amica Genoveffa Ciferri, lo hanno aiutato a confezionare il memoriale d'accusa consegnato ai magistrati; per la precisione, la Ciferri ha passato le notizie a Perlasca fingendo che le indicazioni della Chaouqi fossero fornite da un magistrato in pensione. E il Monsignore, in quel frangente, era erroneamente convinto che il cardinale lo avesse duramente accusato.

 

Scatta così, con una serie di equivoci, la “macchinazione” più volte evocata dallo stesso Becciu, il quale non ha mai smesso di professare la propria innocenza, sottolineando come sia al centro di false accuse. 

 

Detti organi di stampa hanno trascurato una simile rivelazione perché erano troppo impegnati a gridare allo scandalo in merito alla telefonata col Papa che Becciu ha registrato all'insaputa del pontefice, e ai commenti ai quali si è lasciato andare in merito al Santo Padre. Nessuno dice che sia una cosa carina, ci mancherebbe. Però un po' meno ipocrisia ogni tanto quella sì, sarebbe carina. Diciamolo: anche i sassi sanno che quando sei sotto processo registri pure le telefonate con tua madre che ti dà la ricetta dei cannelloni, e non lo fai per impararla a memoria.

 

Lo fai per tutelarti, e lo fai se sei in causa con l'amministratore per gli arretrati di condominio, con il datore di lavoro per gli straordinari non pagati, col vicino perché hai beccato quel bastardo mentre portava il suo cane a fare i bisogni nel tuo giardino. Figurarsi un uomo nella situazione in cui si trova il cardinale, al telefono nientemeno che col pontefice.

 

Papa Francesco in questa storia, in linea con la giurisdizione vaticana, ha finito per essere come un dominis assoluto, finendo “involontariamente” per danneggiare la vita di Becciu. Lo ha privato dei diritti cardinalizi prima ancora che iniziasse il processo…

 

Il fatto che Becciu non si dilunghi in carmi d'amore, quando parla del pontefice, è umanamente comprensibile almeno quanto risulta impossibile capire l'atteggiamento del Santo Padre nei suoi riguardi. Ma anche volendo a tutti i costi indignarsi per il comportamento del cardinale, questo non dice assolutamente nulla sul piano giudiziario, in teoria: in pratica, il processo che si sta svolgendo sui media assomiglia sempre più a quello che subisce Meursault nello Straniero di Camus, in cui si discute più sul contegno dell'imputato al funerale della madre che non sulla morte dell’arabo.

 

In realtà il fatto che Monsignor Perlasca abbia ammesso di essere stato imbeccato durante la preparazione del memoriale d'accusa consegnato ai magistrati è d'importanza capitale, perché è la prova che qualcuno, sia pure una singola persona, deve aver tramato contro il cardinale, gettando ombre sul suo operato presso il Tribunale, presso i media e anche presso il Santo Padre.

 

Dirà poi Becciu: “Sono tormentato da questa domanda: perché sono state riportate al Papa queste false accuse? A quale scopo?”. È una domanda a cui certo non possiamo rispondere. Però una cosa è chiara: Becciu subisce due processi, uno mediatico e uno giudiziario. Nel secondo, il grande accusatore è Perlasca, che era condizionato dalla Ciferri, che era condizionata dalla Chaouqi, che mio padre al mercato comprò. Il che fa supporre anche al meno perspicace degli uomini che qualcuno abbia cercato di condizionare il processo, giusto? Fin qui ci siamo.

 

Nel processo mediatico, invece, il grande accusatore è l'autore dell'inchiesta sull'Espresso in seguito alla quale è esploso il cosiddetto “caso Becciu”: Massimiliano Coccia. Inevitabile quindi, per capire fino a che punto questo qualcuno si sia divertito a tramare alle spalle del cardinale, ripercorrere chi sia Coccia.

 

Si tratta di un giornalista sul quale eravamo già stati costretti a scrivere un po' di tempo prima, quando invocava la reintroduzione del reato di plagio, voluto dal regime fascista per mettere a tacere i dissidenti, dai microfoni di Radio Radicale,nel tempo in cui è stato collaboratore, forse non sapendo che si era giunti all'abolizione della norma per incostituzionalità anche grazie alle lotte dello stesso Marco Pannella.

 

Già allora infatti, due anni prima del caso Becciu, Coccia sembrava propenso a dare man forte quando si trattava d'innalzare gogne mediatiche ai danni di innocenti, magari con la finta patente radicale che di questi tempi si può prendere senza eccessivo sforzo.

 

Qui però non parliamo del Massimiliano Coccia esperto di plagio, ma di quello esperto di questioni vaticane. Un vaticanista sui generis, senza dubbio, che si è distinto anche in questa veste ancheperché, a quanto spiegato dettagliatamente nella contro-inchiesta di Libero, millantava contatti Oltretevere che non aveva.

 

In altre parole, fingeva di parlare con un prete che non esiste.

 

Ora, se io avessi fatto una figura del genere mi sarei già andato a nascondere. È una di quelle cose per cui ti scavi una tana sottoterra e ti sposti direttamente lì, nei cunicoli, come Bugs Bunny, uscendone al massimo per dare un lungo bacio con lo schiocco sulla crapa pelata del cacciatore e rinfilarti subito nella buca. Chiunque di noi farebbe così.

 

Ma non Coccia.

 

Al contrario, ha scritto addirittura un libro sull’argomento (Amen Piemme edizioni), mentre insisteva sulla colpevolezza del cardinale dalle pagine dell'Espresso. Nonostante il collega Enrico Rufi, su Libero, fosse stato abbastanza diretto: “Parliamo di un falsario, di uno sciacallo e di un mitomane”. Perché? La storia, benché avvilente, è semplice. Rufi, redattore di Radio Radicale, nel 2019 ha citato al Prefetto della Segnatura apostolica e ha presentato un esposto alla Procura di Roma contro Massimiliano Coccia, già condannato per falso in atto pubblico, in quanto fingeva di avere entrature negli ambienti vaticani che in realtà non aveva.

 

Tramite questi contatti, avrebbe dovuto ottenere un'udienza papale per sé, Rufi, il direttore Alessio Falconio e Rita Bernardini, per sottoporgli un dossier sulla situazione delle carceri; in quell'occasione, Rufi avrebbe presentato al pontefice il libro L'Alleluja di Susanna, testimonianza della figlia venuta a mancare nel 2016 di ritorno dalla Giornata mondiale della Gioventù. Il padre ha raccontato a Libero di averlo scritto “perché non poteva più farlo mia figlia, che seguiva il magistero di Bergoglio”. Così Coccia si offre di fargli incontrare il papa.

 

E qui arriva il prete che non esiste.

 

Il contatto di Coccia in Vaticano è infatti don Andrea Andreani, segretario particolare del papa, che corrispondeva via mail con la Radio e, secondo quanto raccontato da Rufi, continuava però a spostare l'udienza. Poi la scoperta: la Gendarmeria vaticana è costretta a spiegare che non risulta alcun sacerdote di nome Andrea Andreani. Coccia se lo è inventato.

 

Per quattro mesi Radio Radicale aveva parlato con un prete mai esistito.

 

Ed è allora che Libero nota un'altra incongruenza, che vale la pena riportare sempre per rispondere alla domanda che ci siamo posti all'inizio, ovvero quanto abbia pesato in tutta questa faccenda la manina di qualcuno che ce l'ha col cardinale: L'Espresso annuncia le dimissioni di Becciu con oltre sette ore di anticipo rispetto all'udienza in cui il papa lo fece dimettere. Ora, benché predire eventi lontani sia uno dei segni riconosciuti dalla Chiesa per certificare l'azione straordinaria di Satana, in questo caso viene spontaneo pensare a un'azione più ordinaria.

 

Ecco dunque che se da un lato Feltri si domandava chi avesse “armato” le pagine del settimanale contro il cardinale, dall'altro è lo stesso Perlasca oggi ad ammettere che ha avuto suggeritori nella preparazione del memoriale d'accusa. Sembra così che entrambi i grandi accusatori – quello giudiziario e quello mediatico – siano in realtà strumenti di altre logiche.

 

Trame volte a raggiungere scopi ancora da capire, ma per i quali sembra essenziale far cadere la testa di Angelo Becciu. Una manovra che continua a entrare e uscire, dalle aule del Tribunale e dalle redazioni dei giornali (se si escludono pochi interventi, come quello di Ernesto Galli della Loggia un po’ di tempo fa sul Corriere della Sera e più di recente di Lucietta Scaraffia su La Stampa, più importanti agenzie di stampa estere e grandi quotidiani negli Stati Uniti), gettando un'accusa qui, un'indiscrezione lì, al servizio di un progetto che voleva essere ben preciso ai danni del porporato.

 

...Ovvero, come l'ha sempre definita lui, una macchinazione.

 

(foto: Vatican Media / ACI Group)

 

 


Aggiungi commento