La mattina di venerdì, 7 ottobre, al Museo Archeologico di Napoli c'è una piccola folla di giornalisti, una cinquantina, e un imprecisato numero di telecamere. Sono lì per assistere alla inaugurazione della riapertura della sezione egizia del Museo.
Il direttore Paolo Giulierini, con il suo stile sintetico ed efficace, illustra l'importanza di questa riapertura, che acquista un valore nazionale e internazionale in relazione all'odierna situazione dell'Egitto e alla difficoltà dei rapporti internazionali che ne derivano. Ringrazia i componenti del suo Staff museale, i restauratori, i funzionari, gli addetti Stampa, persone valide, che, posso osservare, con la venuta di Giulierini alla Direzione, hanno dato prova, nella loro attività, di un rinnovato entusiasmo, esprimendo al meglio le loro qualità. Giulierini ringrazia anche la Coopculture, che sta facendo un lavoro pregevole per il MANN.
Dopo Giulierini, la professoressa Valeria Sampaolo, dotta e valente ex Direttrice del Museo, risponde con competenza alle domande dei giornalisti, chiarendo anche che questa riapertura segue la precedente chiusura dovuta al riscontro di deficienze nella struttura degli ambienti.
Questo è avvenuto nel 2010, e la necessaria ristrutturazione è stata possibile per i 3 milioni di euro messi a disposizione dal governo Berlusconi, a cui si sono aggiunti un milione e 900 euro. Di questa somma sono rimasti ancora un milione di euro circa. La riapertura, aggiunge poi la dottoressa Sampaolo, è stata rallentata di un anno per semplici ragioni burocratiche.
I reperti, per la maggior parte, sono quelli che c'erano prima, con poche aggiunte, dovute ad accurati restauri. Un di più è dato dalla politezza della sistemazione e dalla chiarezza nella disposizione degli oggetti. Chiarezza resa più efficace dalle spiegazioni delle egittologhe presenti, come una gentile e paziente professoressa dell'Orientale e una funzionaria del museo, la gentile e disponibilissima dottoressa Rita De Maria, che mi ha spiegato la provenienza delle opere, la loro datazione, mostrato la differenza dei materiali e i falsi già in antico effettuati e rifilati ai collezionisti.
Gli oggetti presenti generalmente appartenevano a collezioni acquistate dai re Borbone. La collezione più antica è quella del Cardinale Stefano Borgia (1777/1804) che, Ministro di Propaganda Fide, si dedicò alla formazione, in Oriente, di sacerdoti indigeni, soprattutto egiziani, i quali, per riconoscenza, gli donarono molti oggetti. Una particolarità di questa collezione napoletana consiste nel fatto che è la prima al mondo, precedente alla conquista napoleonica dell'Egitto (1798) e alla scoperta del significato della scrittura egiziana (1822) dovuta, come si sa, a Jean-Francois Champollion (1790/1832).
Alla collezione Borgia si aggiunse l'acquisto delle opere che Giuseppe Picchianti, un veneto gran viaggiatore, aveva raccolto viaggiando per ben sei anni in Egitto in lungo e in largo e che poi furono vendute (1828) dalla vedova al re Borbone Francesco I. Il Picchianti collezionò anche mummie e oggetti macabri che risentono del gusto del tempo (e adatti anche all'attuale gusto) e importò mummie e sarcofagi.
Certo il museo egizio di Torino è ben più ricco, perché, per quanto sia nato più tardi e da una piccola collezione, poi si è accresciuto con varie donazioni e acquisti durante e dopo il regno sabaudo. Ma il museo napoletano, oltre la priorità temporale, ha un'altra caratteristica, quella di contenere oggetti della cosiddetta Egiziaca, cioè ritrovati a Napoli ( anche a Posillipo) o nei suoi dintorni.
La storia egizia, lunga e affascinante, risalta da questi antichi reperti. Sono molto vari, di tipi diversi: amuleti, piccoli oggetti e sculture di faraoni e di dei, di gente comune, di alti funzionari e di scribi. L'evoluzione degli studi ha portato una maggiore precisione storica; così l'avanzamento della chimica ha reso nota anche la qualità degli unguenti e delle bende da cui le mummie erano ricoperte e finanche del filo e dei punti con cui queste venivano cucite.
In queste sale ristrutturate e dipinte di fresco c'è pure la presenza commovente di una umanità che non c'è più. Mi ha commosso, tra l'altro, una testa, mutila, di Alessandro Magno, contemporanea al re macedone. E anche il Libro dei Morti, in cui si trova la preghiera di un tale Khonsu, che aveva il nome di un dio di allora. Dice: “il mio cuore è mio nella casa dei cuori, perché non ho mangiato quel pane in offerta a Osiride, la mia bocca è mia per parlare, i miei piedi sono miei per camminare, le mie braccia sono mie per abbattere i nemici....”.
Adriana Dragoni