di Davide Frattini
ARSAAL — Il tesoro di Ali sono duecento grammi di carne d’agnello e il video di una battaglia persa. Ha marciato fino a queste montagne tre giorni fa, assieme ad altri quattrocento in fuga dal villaggio siriano di Zahraa, dieci ore di cammino per evitare le imboscate nei campi senza riparo e aggirare le postazioni del regime.
Tira fuori il telefonino per mostrare il filmato, girato a metà ottobre: si vedono gli scontri attorno alle case che i profughi hanno dovuto lasciare, sull’asfalto restano i cadaveri mutilati, soldati in mimetica con le gambe mozzate da quelli che sembrano colpi di Rpg, le granate lanciate come razzi ad altezza d’uomo. Ali dice che quei morti sono guerriglieri di Hezbollah, ha potuto vedere i documenti che tenevano nelle tasche.
«Non portavano la targhetta di riconoscimento in metallo, sono irregolari», interviene un uomo con i baffi ingrigiti che non vuole dare il nome. È stato ufficiale nell’esercito e spiega che ogni militare siriano deve averla con sé. «I miliziani di Hezbollah aiutano le truppe di Bashar Assad — commenta Mahmoud che proclama di essere con i ribelli e di aver partecipato ai combattimenti registrati nel video — Abbiamo resistito due giorni, prima di essere costretti a scappare da questa parte del confine».
La gente di Arsaal li accoglie dall’inizio della rivolta diciannove mesi fa. Qui sono tutti sunniti come i diecimila siriani che ormai vivono in mezzo a loro. Wafiq Qhalaf, delegato del comune, coordina la distribuzione di carne per la festa di Id al Adha e l’assegnazione delle case: quelle offerte gratis (ristrutturate con donazioni dall’Arabia Saudita e dal Qatar) sono finite e contro di lui protesta chi deve pagare cento dollari al mese per una stanza...
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