di Carlo Nordio (da Il Messaggero)
Quando, lo scorso gennaio, fu modificata la disciplina della prescrizione, il Governo promise che il suo effetto sarebbe stato differito all’inizio del 2020, unitamente alla più generale riforma della Giustizia e del processo penale. Questo perché la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, lungi dall’abbreviare la durata dei giudizi, ne avrebbe allungato a dismisura la pendenza, con grave danno soprattutto delle vittime in attesa di risarcimento: cosicché, con un processo più rapido, il problema si sarebbe risolto da sé. Ora il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha messo, per così dire, le carte in tavola, e tutti si sono accorti che anche se non sono carte truccate, sono quantomeno scombinate.
Modificano poco e non risolvono nulla. Ieri il presidente Cesare Mirabelli ha qui efficacemente spiegato il vizio di fondo della miniriforma: troppa carne al fuoco. Ed è vero. È un “mélange de tout” che spazia dall’elezione del Csm alle promozioni dei magistrati alla “depenalizzazione giudiziaria” conferita alle Procure attraverso la selezione delle indagini cui assegnare la priorità. Tutte cose, tra l’altro, che con la rapidità dei processi non hanno nulla a che vedere.
La Lega ha risposto lamentando la mancanza di riforme strutturali, come la separazione delle carriere e di quelle a garanzia dei diritti individuali, come le intercettazioni. Riforme per noi sacrosante: ma nemmeno queste da sole servono ad accelerare i giudizi. Quindi la confusione è totale. Bonafede crede di rendere la giustizia più rapida imponendo termini più rigorosi, secondo la perniciosa consuetudine di rompere il termometro per non veder la febbre, cioè illudendosi che basti un decreto per rimediare all’incolmabile abisso tra i mezzi a disposizione e i fini prefissi.
Salvini vuole una riforma più radicale, che però richiede tempi lunghi e forse una revisione costituzionale. Erano tutte cose previste e prevedibili. E ora, a carte scoperte, si vedrà chi ha bluffato e chi no. Una cosa però ci lascia sconcertati. L‘introduzione di quell’obbrobrio giuridico che è, come abbiamo detto, la devoluzione ai Procuratori dei criteri di scelta della priorità delle indagini.
Noi abbiamo sempre sostenuto che l’obbligatorietà dell’azione penale è una favola vuota che lascia ai Pm il potere di decidere quali procedimenti iniziare e quali no: un’ipocrisia come tante nel nostro sistema, anche se si fingeva di non vederla. Con questa odierna bella pensata, peraltro conforme alla scelta già fatta da alcuni capi di Uffici di definire con una sorta di editto pretorio la prelazione dei fascicoli, si rischia di giustificare e certificare l’arbitrio dei Pm: avremo una Giustizia a tacche di Arlecchino, secondo le collocazioni e le dimensioni delle Procure. Si dirà che questo accade proprio nel processo accusatorio americano, che abbiamo maldestramente introdotto a metà. Già.
Ma lì il Procuratore Distrettuale è elettivo, e se sbaglia viene cacciato via. Il nostro Pm gode invece delle prerogative di indipendenza e di inamovibilità: un potere senza responsabilità da far rabbrividire. Il fatto è che per abbreviare i processi serve una riforma complessiva che guardi anche alla matematica: i reati sono tanti e le risorse poche.
E poiché queste non si possono aumentare, occorre rendere i due fattori compatibili: da un lato con una radicale depenalizzazione, e dall’altro con la piena attuazione del processo accusatorio e delle caratteristiche che gli sono consustanziali. Tra queste campeggia la discrezionalità “vincolata” dell’azione penale, o almeno un indirizzo omogeneo nella selezione delle priorità deciso dal Parlamento che se ne assume la responsabilità politica; e poi ancora l’allargamento dei patteggiamenti, la distinzione tra verdetto e sentenza, e più in generale quel pragmatismo che - sia pur con molti difetti - rende in quel sistema tutto più spedito.
Ma questo accordo, che ovviamente dovrebbe comprender anche la separazione delle carriere e la riforma delle intercettazioni attualmente non c’è, e l’impressione è che ognuno dei due soci giochi da solo allo stesso tavolo in attesa che l’altro lo faccia saltare. Intanto il 2020 si avvicina: e se la prescrizione entrerà in vigore accompagnata soltanto da questa debole e inconcludente riforma, il Paese avrà fatto un altro passo verso l’abisso dell’inciviltà giuridica.