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16/11/24 ore

Migranti, assurdo pagare per non averli



di Carlo Fusi (da Il Dubbio)

 

La proposta è questa: chi non vuole i migranti in cambio può pagare una specie di sanzione economica e così si mette l’anima in pace. «Sono esseri umani, non tappeti», ha tuonato il primo ministro lussemburghese Xavier Bettel rispetto all’ipotesi ventilata nella cena di lavoro di mercoledì: «Sono disgustato, è una vergogna».

 

Insomma quella che resta la mina capace di far definitivamente deflagrare l’edificio europeo - appunto l’immigrazione - continua a non essere disinnescata. Al contrario, la miccia si consuma senza che nessuno, né i Paesi pro-Ue né tantomeno quelli del blocco di Visegrad con l’aggiunta di Vienna e Roma, mostri di aver voglia di spegnerla.

 

Continuare a chiedersi perché ciò avvenga, rischia di diventare stucchevole. Piuttosto in queste condizioni la parola d’ordine degli antisovranisti di costituire uno schieramento che vada “da Macron a Tsipras” in grado di presentarsi alle elezioni europee e competere con chi la pensa all’opposto, minaccia di diventare un autogol, una toppa peggiore del male: non un freno alla spinte disgregatrici bensì un ulteriore alibi al processo disgregativo. Gli “anti, infati, sono quegli altri: è dai “pro” che ci si aspetta una mossa all’altezza della situazione. Che però rimane un’Araba Fenice.

 

La realtà è che gli egoismi nazionali da un lato, in particolare di Germania e Francia, e la paura di perdere consensi a favore dei partiti populisti dall’altro, impediscono di affrontare in modo coraggioso un fenomeno di stampo epocale che solo chi non lo comprende nella sua pienezza e drammaticità può immaginare di governare con intese di piccolo cabotaggio o meccanismi di tipo protezionistico. «Come si risolve il problema dei migranti? Semplice.

 

Non li facciamo più entrare e chi è qui lo rimandiamo a casa», spiega Viktor Orbàn. E’ il disinvolto semplicismo di un piccolo Paese come l’Ungheria: il fatto che sia diventato il faro diciamo pure ideologico di uno schieramento politico che nel prossimo maggio può diventare egemone in Europa, è la riprova di quanta cattiva coscienza e ipocrisia incateni le capitali degli Stati più grandi, quelli che l’Europa l’hanno fondata.

 

Del resto sono un po’ tutti gli organismi sovranazionali del vecchio Continente ad essere investiti dalla bufera populista. Se l’Ocse, nel mentre ne abbassa le previsioni di crescita, avverte l’Italia a non modificare la Fornero, il vicepremier Di Maio non trova di meglio che replicare: si faccia i fatti suoi. Idem se la Bce spiega che non è nei suoi compiti finanziare il debito dei singoli Stati: a Francoforte si sono presi poteri impropri, è l’annotazione di importanti esponenti del governo italiano. Forse è necessario guardare in viso, senza infingimenti, il problema.

 

Che è quello per cui i pilastri politici che hanno retto la Ue stanno crollando sotto i colpi di maglio della dissaffezione degli elettori. Per primi ne hanno fatto le spese i partiti socialisti e socialdemocratici, dovunque ridotti ai minimi termini se non addirittura scomparsi.

 

Adesso è la volta del Ppe, che il morbo nazionalista e sovranista ce l’ha in corpo come Alien; e nello stesso modo del film di Ridley Scott non riesce a contrastarlo e finisce per esserne divorato. Il partito di Orbàn, infatti, è affiliato al Ppe e c’è chi sogna di cooptare in qualche modo anche la Lega di Salvini. “Civilizzare i barbari”, è lo slogan. Più probabilmente avverrà il contrario.

 

La Le Pen, Salvini e Orbàn, infatti, non hanno in animo di squassare Bruxelles e raderla al suolo: piuttosto mirano ad impadronirsene per svellere l’asse franco-tedesco e sostituirlo con nuovi equilibri più consoni ai loro obiettivi.

 

Cosa possa diventare l’Europa in quelle mutate condizioni, che ruolo possa svolgere l’assemblamento di “Piccole Patrie” nel confronto-competizione con giganti del calibro di Usa, Russia e soprattutto Cina, nessuno lo sa. Forse nemmeno quelli che stanno picconando il vecchio sistema. Il che rende la questione ancora più inquietante, non certo meno.

meno.

 

(da Il Dubbio)

 

 


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