Partiamo dall’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia. Rispetto a quelle precedenti, non parla più di legalizzazione delle droghe leggere, eppure nello stesso tempo conferma che le politiche di repressione in atto sono un fallimento per arginare il business del narcotraffico.
Dopo 4 anni consecutivi in cui la Dna ha suggerito alla politica di prendere in considerazione la legalizzazione della can- nabis, con il nuovo corso di Cafiero de Raho, la parola letteralmente scompare dalle 1.159 pagine della relazione di quest’anno. L’anno scorso si riportava il parere positivo della Dna sulle proposte di legalizzazione in discussione in Parlamento nella passata legislatura. Quel che non è cambiata nella relazione di quest’anno è la descrizione del fenomeno della diffusione delle droghe proibite in costante e inarrestabile crescita: 250 milioni di consumatori abituali ( il 5,3% della popolazione mondiale), di cui ben 183 milioni sono utilizzatori di cannabis ( il 73,2%!).
Ma quel che più sorprende è il giudizio sulle misure messe in atto globalmente per contrastare il fenomeno del narcotraffico: “le azioni di contrasto - afferma la Dna - nonostante i migliori propositi e gli sforzi più intensi, non hanno determinato, non solo una scomparsa del fenomeno ( che per quanto auspicabile appare obiettivamente irrealizzabile), non solo un suo ridimensionamento, ma neppure un suo contenimento. Forse, al più conclude la Dna - hanno impedito una crescita ancora più marcata”.
Ecco, di fronte a questo quadro, la ricetta avanzata dalla Dna di Cafiero De Rao è quella di sempre, proposta dai sostenitori della fallimentare “War on drugs “: piùmezzi e più poteri centralizzati nelle mani della Dna e, a livello mondiale, l’estensione del sistema sanzionatorio agli Stati “che consentono le collusioni fra sistema bancario e finanziario e narcotraffico” fino a prevedere un Tribunale internazionale sotto l’egida dell’Onu che applichi forti sanzioni economiche se non misure di embargo nei confronti degli Stati che non cooperino e che non abbiamo normative adeguate per colpire il riciclaggio.
Mi viene in mente la frase di Pannella che è divenuta la sigla del notiziario antiproibizionista di Radio Radicale: se tu vuoi vietare l’esercizio di una facoltà umana che è a livello di massa, tu fallirai e sarai costretto all’illusione autoritaria del potere che colpisce il colpevole, lo colpisce a morte.
Però c’è ad esempio il procuratore antimafia Nicola Gratteri il quale ha più volte ribadito che la legalizzazione non contrasterebbe la criminalità organizzata e più volte ha detto che lo Stato non può legalizzare l’uso di sostanze che provocano danni alla salute dei suoi cittadini.
Gratteri afferma che se la cannabis fosse legalizzata la criminalità organizzata continuerebbe a fare gli stessi introiti perché la venderebbe ai minorenni dai dieci anni in su ( dice proprio così) e avrebbe comunque le altre droghe proibite da vendere. Che una fetta di mercato di milioni di consumatori in Italia sarebbe sottratta almercato illegale, non lo sfiora neppure.
Così come non lo sfiora nemmeno lontanamente il fatto che almeno 4 milioni di consumatori di hashish e marijuana sono oggi costretti ad approvvigionarsiall’unico mercato oggi disponibile, quello deinarcotrafficanti per lo più mafiosi. In buona fede ( credo) Gratteri & company lasciano alle mafie il monopolio dell’“affare più remunerativo che esista, per rapporto costi- ricavi, per la criminalità organizzata”.
Quanto all’affermazione che lo Stato non può legalizzare sostanze che fanno male alla salute, Gratteri vieterebbe pure il tabacco ( su questo definisce lo Stato ipocrita). Non l’alcol perché se lui si beve un bicchiere di vino, sostiene, non lo fa per sballarsi come accade a chi si fa una canna. I 17.000 morti legati all’abuso di alcol nel 2017 e gli zero per marijuana, non contano.
Dopo l’illegittimità della legge Fini- Giovanardi, la legalizzazione in Uruguay e in Colorado, le relazioni della Dna guidata dall’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, il dibattito sulla legalizzazione della cannabis si era riacceso in Italia. C’era stata anche una proposta di legge, poi rimasta nel cassetto. Oggi come siamo messi?
Con il governo penta- leghista, direi malissimo, non rientra nemmeno di striscio nel contratto di governo. Occorre riportare il tema nell’agenda della politica.
Però dal 2007, la cannabis può essere almeno utilizzata per scopi terapeutici. Non ci dovrebbero essere più problemi sotto questo fronte, vero?
Ha fatto bene ad usare il condizionale perché le difficoltà per i malati sono ancora insormontabili. Il prossimo 7 luglio sarò a Foggia con Andrea Trisciuoglio e altri malati dell’associazione “Lapiantiamo” per un convegno dal titolo “Costretti a disobbedire”. Prima o poi la troverò una procura che mi schiaffi in galera, come accade a migliaia di coltivatori di Marijuana che non vogliono foraggiare la criminalità più o meno organizzata.
Voi del Partito Radicale parlate di legalizzazione, ma non di liberalizzazione. Che differenza c’è?
È semplice. La liberalizzazione vuol dire “nessuna regola” mentre la legalizzazione prevede regole che possono essere più o meno restrittive. Quando nella relazione della Dna leggiamo che le imprese di spaccio operano 24 ore su 24 e che sono le principali e diffuse fonti di attività lavorative in alcune zone del paese, potremmo dire che la liberalizzazione sia il connotato della situazione attuale del proibizionismo.
Lei propone anche la legalizzazione delle droghe pesanti, come l’eroina e la cocaina. Non le sembra un po’ troppo?
Troppo semmai è riferibile all’oggi, con una marea di persone allo sbando costrette a commettere crimini per procurarsi la dose di sostanza dalla quale dipendono. Per esempio, una seria regolamentazione di somministrazione sotto controllo medico di eroina, risolverebbe le problematiche più dannose sia per gli assuntori ( overdose, Aids, commissione di reati e relativi processi) che per la sicurezza dei cittadini, non più vittime di reati tipici dei tossicodipendenti in astinenza ( scippi, furti, rapine).
(da Il Dubbio)