di Piero Sansonetti
(da Il Dubbio)
C’è una cosa che non riesco a capire. Questa: se a uno qualunque di voi chiedessero di prendere una decisione dalla quale forse dipende la possibilità di vivere o di morire per un altro essere umano, voi esitereste? Ed esiste la possibilità che alla fine la vostra decisione sia il pollice verso?
Io credo di no. Credo che per decidere che è giusto mettere a rischio la vita di una persona occorra una carica in più di qualcosa che può essere fanatismo, oppure sadismo, o gusto di onnipotenza, o convinzione di essere degli esecutori di Dio. Una persona con una normale ragionevolezza e una sensibilità nella norma deciderebbe comunque per la vita.
Nel caso di Marcello Dell’Utri, peraltro, non c’è molta incertezza sulle conseguenze della decisione. Le cose sono molto semplici: Dell’Utri è cardiopatico, iperteso, diabetico e ha da sette mesi gli è stato diagnosticato un cancro alla prostata.
Non esistono le possibilità di curare questo cancro in carcere, questo è stato accertato dai medici e certificato dal garante dei diritti dei detenuti, il dottor Mauro Palma, che non è un esponente di Forza Italia (tutt’altro, dice la sua biografia). Dell’Utri - lo capisce chiunque sia in grado di usare la ragione - non è in alcun modo pericoloso (peraltro nessuno sa dire bene per quale reato sia stato condannato).
Ha 76 anni e in teoria potrebbe usufruire della norma che prevede la scarcerazione per chi abbia più di 70 anni. Ha scontato più della metà della pena e dunque potrebbe usufruire della norma che prevede la semilibertà. È stato condannato per un reato che la Corte Europea ha già stabilito che non esisteva all’epoca dei fatti che gli sono contestati. Non esiste il filo sottile di nessuna ragione per tenerlo dentro.
Oltretutto i medici consulenti dell’accusa (dell’accusa, non della difesa) hanno detto che è incompatibile con il carcere. La decisione di lasciarlo dietro le sbarre e - con ogni probabilità - mandarlo a morte, è assolutamente irragionevole, cozza col buonsenso, con molte leggi e con lo spirito di umanità che dovrebbe ispirare le autorità, almeno a norma di Costituzione. La decisione di rifiurtargli il diritto a curarsi è in aperta violazione dell’articolo 32 della Costituzione.
Ci troviamo di fronte a un atto di inaudita arroganza, ma purtroppo legittimo e inemendabile. Se, come è probabile, Marcello Dell’Utri morirà prima di essere scarcerato, nessuno sarà tenuto arispondere per questa prepotenza. Neppure se,come è probabilissimo, la corte europea dovesse successivamente decidere che era innocente e ordinare il risarcimento per ingiusta detenzione.
La morte di Dell’Utri sarà un dolore e una macchia per la dignità di un pezzo molto grande di magistratura, che concepisce la sua funzione come una funzione di giustizia, e non di vendetta e di espressione di potere. Sarà invece una soddisfazione per una parte piccola della magistratura - piccola, ma molto potente - la quale vedrà l’esemplare punizione di Dell’Utri come un ammonimento a tutta la politica: «attenti, abbiamo un potere smisurato».
Che possibilità ci sono di fermare questa spirale? Per ora quasi nessuna. Bisogna aspettare i tempi della Cassazione e della Corte europea, che probabilmente saneranno questa ingiustizia, ma lo faranno, forse, quando sarà troppo tardi.
In realtà l’unica persona che potrebbe intervenire è il Presidente della Repubblica. Lui può concedere la grazia. E’ un suo potere. Capisco perfettamente la difficoltà di un gesto simile. Politicamente temerario. Una sfida aperta a un pezzo di magistratura, ai suoi poteri, alle sue certezze, alla sua spavalderia.
Capisco la difficoltà politica, la valanga di critiche che si tirerebbe addosso da parte della compagnia ufficiale dell’antimafia. Quella dei professionisti, prevista da Sciascia. Ci vuole un’enorme coraggio a graziare dell’Utri, una gigantesca capacità di autonomia e indipendenza. Però ne vale la pena.
Per due ragioni: si salva una vita umana, nel rispetto della Costituzione. E si salva il diritto. Mattarella è l’ultima speranza. Mattarella ha dimostrato tante volte non solo la sua umanità ma anche le sue capacità di decidere e di rispondere alla sua coscienza e non ai giornali.
(da IL DUBBIO)