di Carlo Stagnaro
(dal foglio.it)
Lorenzo Fioramonti, professore di scienze politiche all’Università di Pretoria, è l’uomo scelto da Luigi Di Maio per sviluppare il programma economico del Movimento 5 stelle. “Nemico pubblico numero uno del Pil”, lo chiama l’Huffington Post nel ritratto che gli ha dedicato. Come vedremo, è una descrizione assolutamente corretta, anche se non nel senso in cui viene utilizzata. Ma andiamo con ordine.
Il lavoro di ricerca di Fioramonti riguarda gli indicatori di benessere alternativi al pil. Il tema è tutt’altro che marginale, tant’è che gli economisti ne dibattono da tempo. Per esempio, il premio Nobel Joseph Stigliz sostiene che il pil non sia in grado di riflettere importanti dimensioni della qualità della vita.
Tuttavia, come hanno mostrato Betsy Stevenson e Justin Wolfers, i principali indicatori di benessere o felicità sono fortemente e positivamente correlati al reddito. Come dire, i soldi non comprano la felicità, però aiutano. Su un altro versante, Martin Feldstein ha argomentato che il pil tende a sottostimare il valore della produzione (e dunque della produttività): per esempio le statistiche non catturano tutti quei servizi di cui i consumatori fruiscono gratuitamente (come le app sullo smartphone), e che nondimeno contribuiscono a migliorare la qualità della vita.
Questa lunga digressione era necessaria per spiegare che in economia la discussione sul pil è seria e complessa. Ma Fioramonti si inserisce solo marginalmente in questo dibattito. Un conto è cercare di capire se il pil sia ancora in grado di misurare correttamente l’output e sforzarsi di adeguarlo ai tempi. Altra cosa è prendere le mosse dalla sua pretesa obsolescenza per trarne conseguenze del tutto arbitrarie, per esempio, sull’utilità dei vincoli di bilancio condivisi a livello europeo.
Attenzione: le regole del fiscal compact possono essere rese più efficaci; ma ciò è ben diverso dal mettere in dubbio la stessa disciplina di bilancio nel nome di un keynesismo mal digerito. Sicché il piano Fioramonti-Di Maio finge di prendere sul serio gli obiettivi europei ma in realtà li ignora, e si fonda principalmente sulla spesa e il deficit.
Naturalmente, i programmi elettorali non sono documenti scientifici e sarebbe sbagliato pretendere rigore assoluto. Ma la politica economica grillina si distingue, anche rispetto agli altri partiti, proprio per lo iato tra l’estensione delle nuove spese e la fantasiosità delle proposte di copertura.
Come ha notato Veronica De Romanis, l’impegno a rottamare Maastricht e sforare sistematicamente il 3 per cento può avere un suo appeal politico, ma è tecnicamente inconciliabile con l’asserita volontà di tagliare il rapporto debito/Pil di 40 punti percentuali in dieci anni. Per abbattere il debito bisogna costruire un avanzo primario; per spendere più di quanto coprano le imposte versate, serve nuovo debito. Tertium non datur, come dicono in Sudafrica...
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