di Maurizio Melani (*) da affarinternazionali.it
Nulla può essere escluso ma appare sempre più difficile che il 25 settembre prossimo si svolga il referendum annunciato dal presidente della Regione autonoma del Kurdistan iracheno (Krg), Massud Barzani, per fare decidere i curdi dell’Iraq sull’indipendenza di quella parte dell’assai più ampia nazione curda che le vicende successive alla Prima Guerra Mondiale e alla fine dell’Impero Ottomano hanno lasciato senza uno Stato.
La costituzione irachena del 2005, frutto del compromesso tra arabo-sciiti e curdi in un’Assemblea costituente che gli arabo-sunniti avevano in larghissima maggioranza boicottato, attribuisce al Krg un’amplissima autonomia nei campi economico e della sicurezza interna. La dirigenza curda, posto fine con la mediazione occidentale al lungo conflitto tra le sue due principali componenti, il Kdp dei Barzani a nord-ovest e il Puk dei Talabani a sud-est, l’ha energicamente esercitata grazie anche alle condizioni in cui si trovava il resto del Paese.
I curdi e le regole non scritte osservate o eluse
Regole non scritte, ma rigorosamente osservate, attribuiscono inoltre alla componente curda un ruolo importante nel Governo centrale. Ad essa va la presidenza della Repubblica, che in un sistema parlamentare con complesse coalizioni da formare e mantenere dopo ogni elezione ha un rilevante potere di mediazione, oltre ad alcuni ministeri chiave. A lungo i curdi hanno avuto il ministero degli Esteri e poi quello delle Finanze.
Quelle che non sono state osservate sono invece le intese sulla rotazione delle diverse cariche, a Erbil e a Baghdad, tra le due principali componenti curde, per le quali quella di maggiore potere è la presidenza del Krg. E ciò anche in relazione all’irruzione di una terza forza, Goran, nata da una scissione del Puk ma con capacità di erosione anche sul Kdp.
Alla scadenza dell’estensione del suo secondo mandato nel 2015 il presidente Barzani non ha trovato un Parlamento regionale disposto a rinnovarglielo, in attesa di nuove elezioni presidenziali. Ne ha quindi impedito il funzionamento con la motivazione che la priorità fosse l’unità per combattere l’Isis, il sedicente Stato islamico, che avanzava e scaraventava nella Regione autonoma centinaia di migliaia di rifugiati.
TraTurchia, sviluppo, Isis e petrolio
La sicurezza interna alla Regione aveva consentito negli anni precedenti uno sviluppo economico assai maggiore rispetto al resto dell’Iraq, con un forte apporto di investimenti dalla Turchia, che, dopo le iniziali ostilità all’autonomia interna curda, si era bene adattata ad una situazione da cui ha saputo trarre notevoli vantaggi politici ed economi.
Barzani, malgrado le remore del Puk e le proteste di Baghdad per violazioni di confini non controllabili e difendibili, non ha ostacolato le azioni turche contro il Pkk sul territorio della Regione. E quando, per le mancate intese tra Baghdad ed Erbil sulla gestione delle risorse petrolifere, il Krg ha iniziato a sfruttare autonomamente le proprie, Ankara è stata ben lieta di acquistarle a prezzi di favore. Ne è derivata la sospensione di previsti trasferimenti finanziari da Baghdad a Erbil, con conseguenze sul bilancio pubblico della Regione e sulle condizioni di vita della popolazione.
Nella resistenza all’Isis e nella controffensiva i peshmerga curdi, unificati ma con differenziate fedeltà alle forze politiche di appartenenza, hanno occupato zone contese tra il Governo centrale e il Krg con popolazione mista (curdi, arabi e turcomanni sunniti e sciiti, assiro-caldei cristiani, yazidi). Tra queste aree vi è quella petrolifera di Kirkuk il cui possesso curdo è contestato dagli arabi, sia sunniti che sciiti.
Ora che l’Isis è pressoché sconfitto sul piano del controllo territoriale riemerge con forza la questione del destino di queste zone i cui abitanti sono chiamati a partecipare al referendum sull’indipendenza.
La costituzione del 2005 prevede che la decisione sul loro accorpamento o meno al Krg sia adottata sulla base di un referendum che non si è mai fatto per dispute su chi vi possa partecipare dopo gli spostamenti di popolazioni, a danno dei curdi, a suo tempo effettuati da Saddam Hussein. Ora che il controllo lo hanno i curdi è facile prevedere quale ne sarebbe l’esito.
All’interno del Krg le componenti diverse dal Kdp cavalcano il malcontento popolare per le deteriorate condizioni economiche e la gestione accentratrice di un potere la cui legittimazione è ormai dubbia.
L’azzardo referendario
In questo contesto si colloca la mossa di Barzani di giocare la carta del referendum per l’indipendenza, tema caro a tutti i curdi ma realisticamente tenuto nel cassetto dei sogni ai quali non si rinuncia ma che non si perseguono per non perdere quel che si ha. Se il referendum si facesse e l’esito fosse positivo perché le preoccupate forze politiche curde diverse dal Kdp non oserebbero boicottare un sogno, Barzani ne uscirebbe rafforzato e rilegittimato.
Ma egli è il primo a sapere che le possibilità di realizzazione dell’indipendenza sono scarsissime. Tutte le reazioni esterne sono state chiare. Le forze politiche irachene sono unanimi nel considerare il referendum incostituzionale. Per la Turchia, in questi anni principale alleato nei fatti del Krg, non avere uno Stato curdo indipendente ai propri confini meridionali fa decisamente premio sulla tentazione di avere come vicino un piccolo Stato petrolifero vassallo ma del quale non si possono prevedere gli sviluppi futuri. Molto meglio avere con questa entità rapporti come quelli attuali nell’ambito della formale integrità territoriale irachena.
Le reazioni più apertamente ostili sono venute dall’Iran preoccupato per gli effetti che quell’indipendenza avrebbe sulla propria consistente minoranza curda. La Lega Araba è ovviamente contraria a che sia messa in discussione l’integrità territoriale di un propri Stato membro, precedente quanto mai pericoloso per tutti. Gli Stati Uniti e l’Unione europea, che hanno sostenuto il Krg nella sua resistenza all’Isis e che dalla guerra del Golfo dell’inizio degli Anni Novanta hanno un rapporto privilegiato con i curdi purché non pretendano l’indipendenza, hanno chiaramente ribadito questo concetto a Barzani. La Russia non ha interesse a sostenere una prospettiva invisa a iraniani, turchi e arabi. Lo stesso vale per la Cina. L’unico ad essersi espresso in favore del referendum è stato il Governo israeliano accentuando cosi le ostilità a questa ipotesi in tutto il Medio Oriente.
L’appello referendario si sta pertanto rivelando sempre più come un mezzo per alzare il prezzo nel negoziato con Baghdad sulle tre questioni fondamentali: modalità di gestione delle risorse petrolifere, status e finanziamento dei peshmerga e destino delle aree contese e in particolare di Kirkuk. Ed è quest’ultima questione quella di più difficile soluzione. Ma lo sarebbe assai di più, con il rischio di un altro bagno di sangue e di ulteriori esodi di popolazioni, se il Kurdistan iracheno proclamasse la propria indipendenza. Incontri tra Erbil e Baghdad, a livello istituzionale e soprattutto di forze politiche, si sono svolti nei giorni scorsi ed altri seguiranno.
Riavvicinamento Iraq-Arabia Saudita
Intanto si sta profilando una svolta che se si consolidasse potrebbe avere rilevanti conseguenze sulla stabilizzazione dell’Iraq e di tutta la regione. Il primo ministro Al Abadi si è recato in giugno, seguito da diversi ministri, in Arabia Saudita, la cui forte ostilità nei confronti del Governo iracheno a guida sciita è stata a lungo tra le cause della mancata stabilizzazione del Paese.
È stato riaperto un valico di frontiera chiuso da 27 anni ed è stata annunciata l’apertura di un consolato a Najaf, cuore dello sciismo iracheno, con la benedizione del Grande Ajatollah Al Sistani.
In agosto è andato a Riad il leader politico-religioso sciita Moqtada al Sadr, già bestia nera degli americani, nazionalista iracheno e aperto al dialogo con i sunniti. Egli si è recato anche negli Emirati ove vi ha incontrato il leader religioso sunnita Al Kubaisi.
Segni di nervosismo sono venuti dall’Iran, ove Al Abadi è andato subito dopo la sua visita a Riad. Teheran può contare all’interno dell’Iraq su milizie sciite il cui ruolo è stato importante nella lotta contro l’Isis e che ora pretendono un conto che il Governo Al Abadi non vuole pagare per intero per non pregiudicare i propri sforzi di riconciliazione interna. La prospettiva di buoni uffici iracheni tra i due Paesi, su cui l’Arabia Saudita si è espressa positivamente, è invece accolta finora con freddezza da Teheran, probabilmente in attesa di vedere gesti americani diversi da quelli finora registrati.
In questo contesto un attivo perseguimento dell’indipendenza del Kurdistan iracheno attraverso il referendum non darebbe un contributo all’auspicata stabilizzazione dell’Iraq e della regione e al mantenimento di quanto, con tutti i suoi limiti, i curdi hanno finora conquistato.
Resta inoltre da vedere se il riavvicinamento tra Iraq e Arabia Saudita possa avere effetti positivi anche su uno schiarimento dei rapporti con l’Iran. Ma su questo incideranno probabilmente in modo rilevante i comportamenti americani.
(*) Maurizio Melani (Ambasciatore d’Italia. E’ stato Ambasciatore in Iraq ed è docente di relazioni internazionali)
da affarinternazionali.it (25 Ago 2017)