di Filippo Femia (da lastampa.it) *
L’erba di Stato ha le ore contate in Uruguay. La riforma simbolo dell’ex presidente «Pepe» Mujica, che ha legalizzato la marijuana per uso ricreativo, rischia di andare in fumo. Il 19 luglio scorso il piccolo Paese sudamericano è diventato il primo al mondo a coltivare, produrre e vendere cannabis. Dopo un mese la «rivoluzione» è già al capolinea. Non perché sia stato un flop: nelle casse dello Stato sono arrivati 90 mila dollari per 70 chili di erba venduti.
La Banca d’Uruguay, però, ha iniziato a chiudere i conti di farmacie e imprese legate alla cannabis. Il motivo? Gli istituti bancari stranieri e in particolare statunitensi, da cui Montevideo dipende in larga misura, non accettano soldi legati a un’attività considerata illegale, formalmente equiparata al narcotraffico dalle norme anti riciclaggio. Se infatti in Uruguay la marijuana è legale, all’estero compare nella lista degli stupefacenti fuori legge.
Per evitare problemi gli istituti uruguaiani devono dunque eliminare ogni legame con la vendita dell’erba. Il presidente del Banco Republica, Jorge Polgar, ha spiegato che mantenere aperti i conti di quelle farmacie «provocherebbe un isolamento finanziario e impedirebbe qualsiasi operazione con gli istituti internazionali». Il primo a passare all’azione è stata la spagnola Santander, che ha chiuso il conto di un’impresa farmaceutica legata alla marijuana. Altri come Scotiabank e Itaù hanno fatto sapere che prenderanno misure analoghe.
Il governo si trova così di fronte a un impasse ingarbugliata. E non si intravede una via d’uscita. La soluzione più ovvia sarebbe utilizzare i contanti per l’acquisto della cannabis. Ma i commercianti uruguaiani sono obbligati per legge ad avere un conto corrente intestato. Un vicolo cieco.
Il presidente Tabaré Vázquez ha ammesso che trovare una via d’uscita «non è facile, ma stiamo lavorando duro». Alcuni esperti di anti riciclaggio hanno segnalato che sarà necessaria una «soluzione creativa». Il governo non ha ancora fatto una proposta concreta, ma il quotidiano El Observador ha anticipato che «una delle alternative è istituire un metodo di pagamento indipendente dal sistema finanziario internazionale».
Negli ultimi giorni i più infuriati non sono le oltre 11 mila persone registrate negli elenchi dei consumatori ma l’ex presidente Mujica, «padre» della legalizzazione della marijuana e ora senatore. Ha minacciato di fermare il Parlamento se non verrà trovata una via d’uscita: «I detrattori della legge vogliono uccidere burocraticamente la riforma – ha urlato davanti ai giornalisti – in modo che la legge non venga abolita ma sia inapplicabile». L’opposizione al Frente Amplio, la coalizione di governo, non ha esitato a cavalcare la polemica e attaccare: «Siamo governati da dilettanti. Questo problema poteva essere previsto quando è stata scritta la legge».
Secondo alcuni esperti l’unica soluzione è una modifica delle leggi federali Usa, con la marijuana depennata dalla lista delle sostanze proibite (ora figura insieme a eroina e Lsd). In passato deputati democratici e repubblicani hanno annunciato che appoggerebbero una legge per facilitare il commercio della marijuana negli Stati dove è legale. Ma Trump ha ripetuto che sotto la sua presidenza rimarranno le dure restrizioni.
Fonti di governo hanno fatto sapere che è in programma un viaggio negli Stati Uniti di Tabaré Vazquez: «Il sistema continuerà a funzionare, non bisogna creare allarmismi», hanno fatto sapere.
L’unica certezza, per ora, è l’esito di questo braccio di ferro: un «regalo al mercato illegale della droga e ai narcotrafficanti», come ha detto «Pepe» Mujica difendendo la sua battaglia.
* da La Stampa (27 agosto 2017)