di Valentino Di Giacomo (da Il Mattino)
C’è un filo sottilissimo nella spy-story sull’uccisione di Giulio Regeni che collega in un triangolo tre punti apparentemente distanti: Napoli, Londra e il Cairo. È napoletano Gennaro Gervasio, il docente universitario che il giovane ricercatore italiano avrebbe dovuto incontrare e con il quale Giulio stabilì il suo ultimo contatto telefonico. È lui l’uomo che ha immediatamente lanciato l’allarme sulla scomparsa di Regeni.
Quella di Gervasio è una figura ammantata di mistero, sparito nel limbo delle inchieste giudiziarie e giornalistiche. Anche nelle ultime ore abbiamo provato a contattarlo con telefonate, sms e via Whatsapp, ma nonostante la doppia spunta blu che segnala l’avvenuta lettura dei messaggi, il professore non ha risposto. Nulla di strano, visto che il docente non ha mai voluto spiegare il suo ruolo anche nei giorni immediatamente successivi al massacro del giovane. Perché questo ostinato silenzio? Per comprenderlo bisogna ritornare alle primissime ore in cui Giulio è scomparso, quel 25 gennaio del 2016 quando il ragazzo è stato rapito, nel giorno dell’anniversario delle manifestazioni di piazza Tahrir che diedero il via alla primavera araba in Egitto.
I Servizi inglesi. Il professore napoletano era fra i tutor di Regeni per le ricerche che il giovane stava svolgendo per conto dell’università di Cambridge. Era stato il college inglese ad inviare Giulio al Cairo con il compito di fare un’inchiesta sui movimenti sindacali egiziani che solo uno spirito libero e coraggioso come quello del ragazzo friulano forse poteva considerare non pericolosa. Rischi che non potevano però essere ignorati dai docenti di Regeni, un giovane mandato allo sbaraglio. Perché?
L’ipotesi – mai nascosta neppure dalla nostra stessa intelligence – è che le ricerche di Giulio potessero servire alle agenzie di sicurezza britanniche. L’ombra della Military Intelligence inglese – come raccontato più volte dal Mattino – non è mai scomparsa. Il Regno Unito aveva tutto l’interesse a creare un casus belli tra Italia ed Egitto per alterare i rapporti commerciali tra i due Paesi e le rispettive influenze sull’intricata situazione politica in Libia.
La verità dei verbali. Gennaro Gervasio, italiano trapiantato al Cairo da vent’anni, ha da sempre stabili rapporti con il Regno Unito, docente della sede egiziana della British University. Un trascorso come esperto di politica araba che lo ha portato dall’università Orientale di Napoli fino a Londra e poi al Cairo. Secondo quanto riferito dallo stesso professore partenopeo al pm di Roma, Sergio Colaiocco, era stato il ragazzo a cercare Gervasio telefonicamente chiedendo un incontro per aggiornarlo sulla propria attività di ricerca. «Il 24 gennaio Giulio mi aveva chiesto di incontrarci - ha raccontato Gervasio ai pm - perché era entusiasta di come avanzava il suo lavoro di ricerca e voleva confrontarsi con me.
Al messaggio del giorno successivo delle 13.53 (in cui il giovane sollecitava l’appuntamento, ndr) non mi sentii di dirgli ancora una volta che non potevo incontrarlo, e rinviai la decisione di incontrarci nel tardo pomeriggio. Pensai infatti di unire la visita che volevo fare a un mio amico, per il compleanno, con l’incontro con Giulio, che lo aveva già conosciuto in altra occasione». Regeni aveva fretta di parlare con Gervasio, cosa volesse comunicargli resterà per sempre un mistero.
Il pc di Giulio. Alle 19.38 del 25 gennaio Gervasio scrive un messaggio a Regeni stabilendo di incontrarlo venticinque minuti dopo alla fermata della metropolitana di Mohamed Naguib, a 15 chilometri dalla stazione di Dokki, distante solo 200 metri dall’abitazione del ragazzo. Alle 19.41 il giovane spegne il pc dopo aver avvertito la sua ragazza ucraina che quella sera non avrebbero potuto sentirsi come di consueto via Skype. Giulio esce di casa, ma all’appuntamento con Gervasio non arriverà mai. Alle 20.18 il docente napoletano chiama senza ricevere risposta sul cellulare di Regeni.
Seguono altri due tentativi alle 20.23 e alle 20.25. Di lì in avanti il cellulare di Giulio smetterà di squillare per sempre e non sarà mai più ritrovato. Passano appena due ore e alle 22.30 Gervasio contatta sul cellulare l’ambasciatore al Cairo, Maurizio Massari. Il diplomatico, anch’egli napoletano, subito si attiva per lanciare l’allarme sulla scomparsa di Regeni. Mai è stato chiarito se il rapporto tra Gervasio e Massari era consolidato da tempo per ragioni di provenienza territoriale o se qualcuno abbia fornito al professore il numero dell’ambasciatore.
Ma tutte le persone coinvolte mostrano da subito un insolito attivismo per ricercare Regeni, quasi come se sin dai primi minuti tutti abbiano temuto i futuri sviluppi poi verificatisi. Un attivismo che – secondo fonti contattate dal Mattino – porterà alcuni agenti italiani a recarsi immediatamente al Cairo per prelevare il computer di Giulio e riportarlo in Italia ancor prima del ritrovamento del cadavere del ragazzo. Come se la nostra intelligence fosse stata sin da subito in allerta e volesse mettersi al riparo dai futuri e molteplici tentativi di depistaggio da parte delle autorità egiziane. Nelle prime ore infatti la polizia del Cairo fornisce molte versioni inverosimili: dalla presunta omosessualità di Giulio, all’incidente stradale in cui sarebbe stato coinvolto. Solo dopo arriveranno le autopsie e le prove delle immani torture subite dal giovane ricercatore.
Il silenzio di Londra. Il corpo di Giulio sarà ritrovato nove giorni dopo la sua scomparsa in una strada della periferia della capitale egiziana. Ad uccidere Giulio sono stati gli agenti dei Servizi di sicurezza del Cairo, una verità storica che chissà se diverrà mai una verità giudiziaria. Perché il cadavere martoriato di Giulio è stato volutamente fatto ritrovare? Perché non è stato occultato come spesso è accaduto nel terribile sistema egiziano che rapisce innocenti, li uccide e poi li fa scomparire? Interrogativi a cui si può rispondere soltanto rilevando l’evidenza che il cadavere di Giulio – come rivelato al Mattino da fonti d’intelligence – è stato «volutamente fatto trovare con il deliberato obiettivo di far saltare i rapporti diplomatici tra Egitto e Italia». E chi aveva interesse a creare difficoltà tra il nostro governo e quello egiziano? Una risposta che forse può ricercarsi nell’ostinato silenzio di Londra.
Chi ha assegnato la ricerca a Regeni in Egitto è la professoressa Abdelrahman, di origine egiziana e vicina alla Fratellanza musulmana, ostile all’attuale governo. La docente non ha voluto rispondere agli inquirenti romani che indagano sulla morte di Giulio. Nessuna risposta. Proprio come nel silenzio si è da sempre rifugiato il professore napoletano.
Un triangolo quello tra Napoli, Londra e il Cairo, mentre il cerchio sui reali responsabili della morte di Regeni e sulle vere motivazioni che hanno portato alla sua morte, probabilmente non si chiuderà mai. Una spy-story dove le spie non possono mai dichiarare come hanno agito e, soprattutto, per conto di chi.
© da ilmattino.it
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