di Paolo Di Stefano (Corriere della Sera)
Ha scritto Matteo Renzi: «L’uomo può ciò che vuole, scriveva Leon Battista Alberti, in una frase citata anche da Steve Jobs mentre si accingeva a rivoluzionare il mondo presentando l’iPhone». Nel suo universo c’è un po’ di tutto, dal Dolce stil novo (titolo del suo libro) ai guru del Verbo digitale. Il suo segreto è mescolare, contaminare, non solo alto-basso, basso-alto, ma anche destra-sinistra, sinistra-destra. In realtà, a guardare bene il suo Pantheon, il rottamatore rottama pochissimo. Gli vanno bene la scompostezza di Briatore e il suo opposto, Alessandro Baricco, cui lo avvicina, tra l’altro, il look camicia bianca e maniche rimboccate stile stiamo-lavorando-per-voi. Gli vanno bene Eataly e la Coca-cola: local e global. Usa la Smart, ed è smart lui stesso (copyright Marco Belpoliti). Gli piace Virzì, ma non disprezza Pieraccioni, e non rinuncia alla battuta come Panariello, anche se Benigni-Pinocchio non è male...
Renzi è il «ma anche» di Veltroni aggiornato agli anni 00. Da una parte Lucio Battisti e Fabrizio, dall’altra la «grande chiesa» di Jovanotti, che «parte da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa» (è il linguista Giuseppe Antonelli a porre l’accento su questa ecumenicità tutt’altro che rottamatrice). Veltroni e Renzi, si diceva. Da una parte Topo Gigio, dall’altra i Simpson; da una parte la nostalgia per le figurine Panini e Carosello dei cresciuti con la Rai, dall’altra la generazione venuta su con la tv commerciale e con «Drive in». Tratto comune Mike Bongiorno: la cui longevità, da «Lascia o raddoppia» e «Rischiatutto» alla «Ruota della fortuna», mette d’accordo tutti. Le altre icone a cui non si può dire di no? Kennedy e Mandela, ovvio (in fondo siamo pur sempre di sinistra...). Alzi la mano chi non è d’accordo. Un po’ come Bartali per le vecchie zie e Balotelli per gli «sdraiati»...
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