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18/11/24 ore

Giustizia. I calcoli mediocri di chi boicotta i referendum lasciano senza prospettive


  • Luigi O. Rintallo

Il 1° giugno, nella conferenza stampa del Comitato promotore i referendum sulla giustizia, presso la sede del Partito Radicale di Torre Argentina a Roma, è stata denunciata la censura operata dai media sulla campagna referendaria. Marco Beltrandi ne ha fornito anche un dato quantitativo: nella settimana dal 15 al 21 maggio, i tg hanno dedicato solo lo 0,3% del loro spazio ai referendum.

 

Dal 7 aprile, data ufficiale dell’apertura della campagna, per intere settimane vi è stato un vuoto totale di informazione: le rilevazioni dei sondaggisti segnalano, infatti, che quasi due terzi degli elettori nemmeno sa che il 12 giugno tutti i cittadini sono chiamati a votare i referendum sulla giustizia.

 

Se poi si guarda all’aspetto qualitativo dell’informazione al riguardo, si scopre che la manciata di minuti dedicati sono collocati  nelle fasce di minore ascolto o prevalentemente su alcune reti e non su altre. Dal che si deduce che non ha torto il vice-presidente del Senato Roberto Calderoli, intervenuto in rappresentanza della Lega alla conferenza, quando individua più di un indizio che testimonia la volontà di sabotare la partecipazione. 

 

Il primo è consistito nel respingimento, del referendum sulla responsabilità civile dei magistrati che, assieme agli altri due sull’eutanasia e sulla cannabis, la Consulta ha eliminato con un parere stentatamente motivato sottraendo al voto i quesiti di maggior richiamo per la sensibilità dei cittadini. Il secondo si è manifestato nell’improvvisa accelerazione impressa in Parlamento alle misure predisposte dal ministro Marta Cartabia sull’ordinamento giudiziario, invero assai poco incisive e approvate in due mesi dalla sola Camera dei Deputati, nel tentativo di giungere entro maggio a un’approvazione definitiva per scongiurare due dei cinque referendum ammessi.

 

Il tentativo non ha avuto esito per la ritrosia a ogni minimo cambiamento espressa dalla magistratura associata (giunta perfino a scioperare contro le modifiche) e recepita da diversi settori parlamentari. Infine, il terzo indizio che confermerebbe il boicottaggio esercitato sui referendum è la data stessa della consultazione – la prima domenica senza scuole e senza limitazioni anti-covid – oltre che le sue modalità di svolgimento (solo di domenica, come mai è avvenuto per i referendum).

 

Boicottaggio politico e censura informativa sui referendum sono le armi privilegiate del sistema di democrazia fittizia, quando si tratta di minare la sovranità popolare posta dai padri costituenti a fondamento della nostra Repubblica. A dimostrazione di quanto gli assetti di potere – siano essi istituzionali o corporativi – temano il referendum in sé, perché sottrae ad essi il controllo verticistico sulla società, fornendo al popolo quella “seconda scheda” che lo trasforma in legislatore e lo fa esprimere nelle forme della democrazia diretta.

 

È una disposizione di “sistema” appunto, che contrasta non poco con le prese di posizione in favore di un profondo cambiamento della giustizia in Italia di personaggi pubblici di rilievo. Così si sono espressi su «Agenzia Radicale», intervistati dal direttore Giuseppe Rippa, studiosi come Sabino Cassese e uomini delle istituzioni come Luciano Violante, o anche magistrati emeriti come Otello Lupacchini.

 

Purtroppo, però, è assai arduo scalfire il muro di una restaurazione che non esita a ricorrere a ogni strumento per scongiurare il pronunciamento diretto dei cittadini: nel caso dei referendum del 12 giugno, poiché è impossibile ignorare quanto gravi siano le conseguenze della giustizia negata e deformata che ci tocca subire in Italia, allora si contesta che lo strumento referendario possa essere risolutivo.

 

Ma questo semplicemente conferma che quelle conseguenze nessuno intende davvero sanarle, checché ne dica la comica Luciana Litizzetto quando è scritturata per irridere e sbertucciare i referendum, nell’unica occasione in cui se ne è parlato in un programma tv di prima serata.Giuseppe Riop

 

Di anormalità ne abbiamo viste dunque in abbondanza, ma a questo punto è opportuno riflettere sui comportamenti assunti dai politici e su quelli che, a nostro modesto avviso, rischiano di rivelarsi dei clamorosi errori di calcolo. Il primo elemento appariscente è il modo in cui la politica – nel suo complesso – ha preferito defilarsi dal confronto referendario. Lo ha fatto perché non immediatamente conveniente, visto che il voto referendario non comporta alcuno scambio in termini di consenso a un partito o a un altro. Persino le forze che a giugno scorso hanno aderito alla raccolta firme – la Lega su tutti i quesiti e Fratelli d’Italia su tre di essi – in questa vigilia non hanno impegnato alcuna occasione di visibilità (interviste, presenze a programmi di approfondimento) per supportare i referendum.

 

Viene da chiedersi come mai e la risposta va cercata nella sottovalutazione del valore prettamente politico di questi referendum, di cui non si coglie evidentemente la portata di alternativa rispetto alla deriva degli ultimi trent’anni. Oppure, al contrario, la si coglie fin troppo e proprio perciò non si ha il coraggio di esplorarla fino in fondo. Quanto alle forze come il PD o i 5Stelle, pesa con tutta evidenza la completa subalternità al protagonismo di alcuni settori della magistratura, con i quali si intende mantenere le relazioni intercorse finora all’insegna della condiscendenza al giustizialismo e all’anti-politica che di fatto è fra le cause principali dell’attuale stallo del Paese.

 

Eppure non dovrebbe essere difficile comprendere come il non rimediare alle degenerazioni anti-costituzionali della nostra giustizia significa condannare l’Italia ad essere perennemente sotto scacco. Ed è velleitario pensare che oligarchie sempre più auto-referenziali e irresponsabili possano accettare di essere indirizzate e strumentalizzate ai propri scopi.

 

Si tratta di due errori marchiani, che si uniscono a un terzo altrettanto incomprensibile, specialmente alla luce dell’esperienza passata: vale a dire che, una volta conquistato il governo della nazione attraverso le elezioni politiche, si possa poi procedere nel realizzare compiutamente gli obiettivi prefissati. Le storie di Berlusconi prima e di Renzi poi stanno lì a rivelare il contrario: meraviglia, anzi, che nei giorni di uscita del libro del leader di Italia Viva Il mostro (Piemme; 2022), dove è ben ricostruita la vicenda giudiziaria che ne ha sabotato l’azione politica, Renzi stesso insista a non effettuare il legame logico fra lo status a-costituzionale della magistratura e l’impossibilità di compiere le scelte politiche necessarie al Paese.

 

Una lezione che dovrebbe tenere a mente chiunque avrà la ventura di governare in futuro: l’unica vera emergenza è la giustizia e i referendum del 12 giugno sono la chiave per aprire la porta al suo superamento e liberare da una cappa soffocante l’intero Paese. Non aprire quella porta vuol dire negare praticabili prospettive all’Italia.

 

(disegno di Sergio Staino da La Stampa)

 

 


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