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26/12/24 ore

Mario Monti "moderatamente" accerchiato


  • Ermes Antonucci

Più che Monti, la salvezza della nostra nazione sembra chiamarsi “moderatismo”. Una definizione utilizzata in maniera esasperante nelle ultime settimane per indicare quel gran calderone centrista che ospita l’Udc, Fli, il movimento di Montezemolo, settori del Pd e del Pdl, tecnici del governo. Un modo contorto per indicare semplicemente una cosa: i sostenitori di un governo Monti-bis.

 

Nient’altro, infatti, sembrano chiedere i vari Casini, Fini, Montezemolo, (e timidamente anche correnti nel Pd e nel Pdl, si veda Pisanu e Fioroni). Mente, per questo, il leader dell’Udc quando annuncia al fianco di Fini “una grande Lista per l'Italia senza personalismi”, proprio perché l’unico comune denominatore nel grande filone moderato risulta essere la figura dell’attuale premier e non solo la sua agenda politica, mantenuta anche da Pd e Pdl che tuttavia, puntando su una nuova leadership, non rientrano nel cosiddetto moderatismo.

 

Paradossalmente, quindi, l’approccio dei moderati, fondato quasi ossessivamente sulla persona di Monti (più che sui contenuti della sua agenda), si rivela essere ben più estremista di quello di Bersani ed Alfano, orientati a proseguire il lavoro del professore ma in modo non dogmatico e personalistico.

 

Insomma, una definizione – moderatismo – inconsistente dal punto di vista politico, data la banale proposta di un “Monti dopo Monti”, incoerente dal punto di vista storico, comprendendo dei protagonisti di un regime partitocratico per sua natura estremista rispetto ai dettami costituzionali, e sciagurata dal punto di vista terminologico: se loro sono moderati, tutti gli altri sono estremisti? Se Pdl e Pd sono estremisti, come definire Sel, La Destra, i comunisti, Di Pietro, Grillo…?

 

Il dubbio, così, è che si stia giocando abilmente con le parole per condurre gli elettori, in modo spontaneo, e moderato (sic!), a votare per coloro che si dipingono come i difensori della patria, minacciata dal pericoloso “ritorno della politica”.

 

C’è da dire che oggi il premier Monti, dopo la parziale apertura dei giorni scorsi (“Mi candido se me lo chiedono”), ha ribadito la propria volontà di lasciare il posto a qualcun altro. D’altronde una conferma di Monti non potrebbe prescindere da una sua candidatura, e questa potrebbe condurre, come sottolineato da Pierluigi Battista, al rischio che “la campagna elettorale che si sta per aprire perda ogni significato sul piano dei contenuti per trasformarsi in un referendum pro o contro Monti”, uno scenario spinoso difficilmente tollerabile dall’attuale presidente del Consiglio.

 

Ora resta da vedere, dopo il dietrofront di Monti, quali saranno le decisioni del massiccio blocco moderato, che, senza il suo punto di riferimento, già inizia a crollare su se stesso.


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