intervista a Stefano Folli
- Non avverti che la vicenda radicale oggi patisce un appannamento, non soltanto perché la sua “estraneità” alla situazione della politica attuale sia ricercata, ma perché tecnicamente quello che ne rimane è poco capace di esprimere la complessa trama eretta a suo tempo da Marco Pannella?
Non c’è dubbio. Nell’Italia di oggi la politica, come l’abbiamo intesa per tanti anni, non esiste più. Non c’è un vero scontro di idee, le forze politiche più rappresentative non hanno radici di nessun genere, sono prive di cultura politica. È qualcosa di impressionante: stando ai sondaggi il 60% degli Italiani votano per forze prive di memoria e di radici, le altre sono forze residuali che hanno completamente perso la propria identità.
Se ci riferiamo poi ai radicali si avverte, in maniera drammatica, l’assenza di un personaggio come Pannella che ha rappresentato in sé stesso proprio il senso di una cultura politica. Così come mancano altre famiglie politiche, che si sono via via disgregate provocando un senso di vuoto di tutta evidenza.
- Lo si deve, a tuo avviso, a responsabilità della sinistra che ha maturato al suo interno?
Penso, innanzi tutto, ai post-comunisti di matrice diessina quando cavalcarono la decomposizione dei partiti dopo Mani pulite. È dal 1992 che inizia il precipitato della crisi politica dei partiti stessi… I partiti che si rifanno a una certa tradizione sono già minoranza nel Paese, in più sono stati svuotati. Il Partito Democratico, sul piano dei contenuti, non rappresenta praticamente nulla di preciso. Adesso risulta evidente, ma anche ieri e l’altro ieri mi sembra abbia girato attorno a un enorme equivoco. La stagione “riformista” di Renzi, tanto per essere più puntuali, che viene spacciata come l’ultimo momento di uno slancio di cambiamento, era fondato su un grande equivoco...
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