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23/12/24 ore

5 Stelle-Lega, ultima chiamata (o quasi)



A caldo hanno fatto un po' i gradassi, spingendo per nuove elezioni subito. Passata la nottata, si è insinuato in loro il fondato dubbio che il voto a metà luglio possa essere davvero una passeggiata trionfale, viste le incognite sull'affluenza alle urne in piena stagione balneare.

 

Per questo, aspettando l'incarico "di servizio", si sono leggermente attenuati i toni bellicosi dei due presunti vincitori del 4 marzo. Sostanzialmente si aspetta e si spera ancora nella mossa di Berlusconi: il famoso passo indietro che consenta in extremis un accordo Lega-M5S e scongiuri il governo neutrale e morente che accompagni lo scioglimento anticipato delle Camere.

 

In mancanza, Salvini conta sul passo falso di Forza Italia, ovvero, la fiducia al governo proposto da Mattarella, che secondo il fido Giorgetti porrebbe fine all'alleanza.

 

Da parte sua, sull'altro fronte , il “candidato premier” attende col “cellulare sempre acceso”, casomai "qualcuno volesse ricominciare a pensare al bene del Paese”. E nelle more ci fa sapere che 55 giorni li ha passati a capire “se Salvini c'era o ci faceva” sul governo assieme.

 

L'approccio è quello solito, da Asilo Mariuccia, non del tutto giustificabile dal dato anagrafico del soggetto. Ma tant'è, conviene rassegnarsi. Del resto, l'assaggio di campagna elettorale conferma che, se andremo al voto, ci attendono due mesi di patetica spiegazione, fino alla noia, sul perché i grillini abbiano cercato franza o spagna purché se magna.

 

Avendo perso la verginità, alcuni cavalli di battaglia potrebbero per contro risultare perdenti e quindi meno utilizzati. Anche se il tentativo di cavalcarli come se nulla fosse accaduto è già in corso. Non ci si riferisce tanto all'annosa questione del referendum sull'euro, rimessa in circolo da Grillo. Piuttosto, al caro reddito cittadinaza, che tanto ha fruttato nel centro-sud.

 

In proposito, subito dopo le elezioni, il presunto toccasana sparì dalla lista delle priorità, almeno nei termini in cui ce l'avevano raccontata con enfasi. Si arrivò persino ad ammettere che il termine era stato utilizzato per scopi elettoralistici, ma che in realtà con esso si intendeva “un reddito minimo condizionato”, una misura poco più ampia del reddito d'inclusione attualmente in vigore.

 

Ebbene, da qualche giorno sentiamo riecheggiare - ahinoi - nuovamente la parola magica, tra le condizioni per un "governo del cambiamento" possibile.

 

Gli elettori abboccheranno questa volta? Premieranno ancora la coerente incoerenza di cui scriveva Giovanni Orsina? Oppure ci saranno consistenti ravvedimenti operosi? (red.)

 

 


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