Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

29/12/24 ore

Pannella, il futuro del mito laico



L'omaggio a Marco Pannella di Quaderni Radicali: ne ha parlato compiutamente il direttore Giuseppe Rippa, nel corso di un'intervista rilasciata ad Alessio Falconio, direttore di Radio Radicale,  che qui riproponiamo  in versione trascritta dal file audio.

 


 

Siamo con Geppi Rippa, che non ha certo bisogno di presentazioni per chi ci ascolta. Con lui vogliamo raccontarvi di questo nuovo numero di «Quaderni Radicali», che ha un titolo chiarissimo: “Pannella. Un canestro pieno di parole” – citazione dalla canzone di Francesco De Gregori Signor Hood – con il sottotitolo “La voce di Marco su Quaderni Radicali”.

Allora, Geppi, questo numero è articolato in diverse parti, come è stato spiegato nella presentazione che abbiamo trasmesso domenica scorsa. È stato composto attingendo ai materiali della rivista «Quaderni Radicali», che si riferiscono a diversi momenti della sua lunga attività politica. Abbiamo riconosciuto una lunga audizione di Marco Pannella alla Commissione stragi: un passaggio importante, perché è la prima volta che Pannella riesce ad arrivare – molti anni dopo i fatti che proprio la Commissione stava ricostruendo – in una sede istituzionale, per spiegare quelle vicende dai radicali denunciate fin dal loro verificarsi. Si pensi al caso Moro o a tanti altri episodi, come l’assassinio di Giorgiana Masi e il rapimento del magistrato D’Urso.

Il numero si apre con tre conversazioni: la prima è quella fra te e Rintallo, animatore insieme con te della rivista, seguita da altre due fra te e Marco Pannella risalenti a pochi anni fa. Sono colloqui che introducono gli altri interventi, di questo numero quanto mai ricco dedicato al leader radicale dopo la sua morte avvenuta il 19 maggio scorso.

 

Il numero di «Quaderni Radicali» non si propone di mettere a fuoco la personalità politica di Marco Pannella. Ci siamo limitati, come atto di omaggio a Pannella, a raccogliere i materiali che sono usciti sulla rivista. L’ordine che abbiamo dato non è strettamente cronologico, è una scelta che abbiamo fatto consapevoli che alcuni segmenti importantissimi – penso ad esempio alla nonviolenza – non sono stati inseriti perché su «Quaderni Radicali» non sono usciti materiali così intensi direttamente forniti da Marco.

 

La mia conversazione con Rintallo è recente e ha lo scopo di presentare il numero, anche se magari è il caso di ritornarci più avanti. Invece quella fra me e Pannella sui “Radicali ieri e oggi” è del 2008 ed è una conversazione alla quale, forse, gli stessi radicali hanno dedicato minore attenzione di quanta avrebbero dovuto. In essa, Marco leggeva i dieci anni trascorsi e tentava di fissare alcuni dei parametri di fondo; racconta anche delle storie che sono molto importanti, perché ci collegano alla sua capacità di mantenere contatti nel mondo intero. Contatti, casomai, non sempre visibili ma che costituivano la sua vera forza. Pensare di muoversi sul terreno politico, mimando Pannella nei contatti, significa non rendersi che la sua dinamica era molto più articolata. Ricorderai, ad esempio, che si fa riferimento al suo rapporto con Le Pen: questa cosa sembra strana, ma poi viene fuori il Le Pen giovane che va a Teramo dalla mamma di Marco, non lo trova e lì si intrecciano fattori umani molto particolari.

 

A questa conversazione, ne segue un’altra ancora più recente del 2014, dedicata al rapporto con Altiero Spinelli. Costrinsi Marco a non fare la storia dei suoi rapporti con Spinelli, per cercare di concentrarci sugli ultimi momenti. Il racconto è molto significativo, anche molto intenso sul piano umano. Bisogna ricordare che all’epoca Spinelli era in clinica, stava male; Marco ricorda alcuni passaggi, le votazioni sempre in comune al Parlamento europeo, le complicità indirette, le delusioni di Spinelli. Lo Spinelli che aveva presunto che il suo percorso di federalismo europeo potesse trovare una sponda nel Partito comunista, manifesta a Marco un profondo senso di perplessità. Una mia interpretazione, che penso tuttavia sia più che legittima considerati i fatti, porta a concludere che Pannella nel 2009 non fu ricandidato al Parlamento europeo proprio perché quella sinistra, della quale e nella quale ci si è ritenuti parte, non avendo risolto la questione liberale (di cui noi radicali eravamo la spina nel fianco), non voleva una personalità intensa come lui a Strasburgo.

 

Non se la poteva permettere…

 

…perché non erano all’altezza per metabolizzarla. Di conseguenza, temevano potesse pregiudicare la loro non politica. Non era dunque solo una falsificazione – ne avevano fatte tante – ma risponde alla problematicità del rapporto tra Pannella e i comunisti. Questa emerge nella risposta di Togliatti al giovane Pannella nel 1959, messa nell’ultima parte del numero. Togliatti ha la struttura per essere a un tempo leninista, un uomo del Politburo comunista mondiale, eppure risponde al giovane universitario e gli presta attenzione, e inventa la Sinistra indipendente proprio per essere competitivo con la cultura radicale. Cerca cioè di acquisire la cultura liberale, per ottenerne la subalternità, e quindi renderla in sostanza “dipendente”. Epperò risponde a Pannella, perché aveva la capacità di reggere il confronto. Un po’ come accade allo stesso Pannella con il Partito radicale: quando ha forzato alcune situazioni nella vicenda radicale, dimostra di avere poi la capacità di assumerle. Cosa che i radicali adesso non riescono invece a fare e di cui forse si potrebbe discutere, anche se magari non è questa la sede.

 

Ritornando alla storia di Spinelli, è interessante leggere come Marco ricostruisce l’operato di Spinelli. Innanzi tutto, nella parte di trasferimento di un’azione strategica riguardante il federalismo europeo, che Marco avrebbe sostenuto con molta intensità. Ti faccio un esempio. Se Pannella fosse stato presente al Parlamento europeo, allorché Cameron decide di fare il referendum per la Brexit, sostenuto in questo dal Murdoch che a quel tempo aveva comprato il «Times» e aveva messo il cappello sulla situazione, cosa avrebbe fatto Pannella? Innanzi tutto, avrebbe fatto valere il trattato e fatto pesare a Cameron che non poteva fare un referendum che riguardava sì la Gran Bretagna, ma in realtà coinvolgeva tutti gli altri membri dell’UE. Contemporaneamente, pur nella legittimità a svolgere la consultazione come singolo paese, avrebbe messo il Parlamento europeo nella condizione di attrezzarsi, di diventare attivo affinché la vicenda della Brexit non fosse sistemata nell’oblio per poi ripiombarci addosso in seguito…

 

Non avrebbe certo ammiccato, come ha fatto tutta la classe dirigente…

 

Nient’affatto, sarebbe stato un attore politico molto intenso, casomai anche un rompiballe nel senso positivo e laico, agguerrito come può esserlo un nonviolento che cerca i percorsi istituzionali e paga le contraddizioni delle leggi ingiuste su se stesso, per renderle esplicite e far nascere quel livello di consapevolezza che forma il soggetto laico e forma gli strumenti della democrazia. Questi aspetti sono, a mio avviso, molto significativi e per ritornare a un tema che hai richiamato, quello dell’audizione di Pannella alla Commissione stragi, voluta dal senatore Pellegrino, che non era neanche un omogeneo al gruppo dirigente del Pds…

 

Tant’è vero che aveva dichiarato di aver avuto simpatie se non per i radicali, certamente liberali…

 

Questa audizione, che dura molte ore divisa in due sessioni, è stato uno sforzo enorme pubblicarla su «Quaderni Radicali», perché abbiamo fatto un po’ come i restauratori di Assisi quando è crollata la cattedrale. Abbiamo preso tutti i pezzetti e li abbiamo ricomposti, dando loro un ordine, perché tu sai che Marco era solito passare da un tema all’altro, intrecciando i riferimenti fra loro. Questo aspetto poteva rendere meno agibile la comprensione dei singoli temi…

 

Tant’è che perfino molti dei parlamentari presenti non colsero a pieno tutti i risvolti della sua testimonianza…

 

Non ebbero modo di capire. Ma direi che anche molti radicali furono nella stessa condizione, perché qualcuno ha letto gli atti parlamentari ma pochi hanno approfondito attraverso «Quaderni Radicali» qual era la grande e lungimirante capacità di descrivere come e perché le stragi ed il terrorismo erano parte dell’agenda politica. Noi, questo sforzo lo abbiamo fatto – e devo in particolare a Luigi Oreste Rintallo questo lavoro di ricomposizione – e però abbiamo osservato che non una delle parole pronunciate fosse disgiunta dal contesto di riferimento. Quindi abbiamo ricomposto il testo, dopo averlo distribuito su una piattaforma diversa, e l’abbiamo linearizzato per temi e titoli. Così è diventata una chiave di lettura importante che copre circa 70-80 pagine di questo numero. Hai fatto bene a ricordarlo, perché è certamente una porzione interessante del fascicolo.

 

Nella parte finale, abbiamo collocato alcuni materiali che risalgono agli anni ’70. Gran parte proviene da quel famoso numero 1/a, che seguì il primo numero della rivista uscito nel novembre 1977. Marco, come al solito, diffidava delle cose che uscivano scritte eccetera, ma lasciava correre come era sua abitudine. Poi, però, mi chiama e nel gennaio successivo pubblichiamo questo numero 1/a che è composto di alcuni articoli che lui aveva scritto, ma che non era riuscito a trovare una pubblicazione. Sono articoli dove compare il termine “esarchia”, che nasce proprio in quegli anni a indicare la partitocrazia delle sei liste del cosiddetto arco costituzionale. E poi il testo “Siamo contro i repubblichini di oggi”, espressione paradossale che rappresenta la linea di continuità tra il PNF e la DC. C’era stata una ripulita d’immagine, ma l’impianto culturale che mirava a controllare la società era lo stesso. E cioè diffidenza verso la gente, un elemento che non si esaurisce lì ma fu scardinato con il referendum del 1974, che fu una rivelazione non tanto e non solo per il tema specifico che pure era intenso, quanto per gli aspetti successivi. Una rivelazione per tutti di una consapevolezza che era rimasta nascosta. Il lavoro dei radicali si era sempre misurato sul terreno di mettere in scena nuovi soggetti politici. Non è che abbiamo fatto il voto ai diciottenni casualmente, ma perché volevamo rendere protagonisti i giovani. E lo stesso vale per le donne, il movimento di liberazione femminile non nasce casualmente. Erano tutti attori marginalizzati dal meccanismo centralistico, che rendeva impossibili questi protagonismi.

 

Altrettanto fondamentale è la riproposta – anche se più volte ripreso in altre occasioni – del manifesto libertario per eccellenza, costituito dalla prefazione al libro di Valcarenghi. Tutti questi aspetti conservano intatta la loro attualità. Come lo è il dibattito di Pannella con Piero Ostellino e Sergio Romano, che ti segnalo: proprio in queste ore il Parlamento sta discutendo la legge sulla cannabis

 

Quarantuno anni dopo il primo atto di disobbedienza civile: lo stesso Pannella ammetteva come fosse abbastanza frustrante vedere le cose con tanto anticipo. Quarantuno anni sono una vita…

 

Aggiungi a questo che molto spesso i radicali sono stati accusati di essere troppo avanti o troppo indietro. In realtà, i radicali sono coloro che hanno mirato ad inserire all’interno di una cultura verticistica, centralistica, ideologica, contraria alle articolazioni drammatiche della democrazia, elementi di cultura liberale. E l’hanno fatto privilegiando quei temi che hanno avuto un ruolo fondamentale: pensa soltanto alle battaglie che si determinarono quando eri da poco immesso nella professione relative ai diritti civili, che erano ritenute dalla cultura marxista-leninista “sovrastrutturali”.

 

Il ministro Andrea Orlando, che pure è figlio di quella scuola, ha spiegato bene come proprio Pannella ha insegnato a loro comunisti, di quella tradizione appunto, che non si poteva scindere la libertà individuale dal resto…

 

Era un passaggio fondamentale. Simbolicamente fu rappresentato dal fatto che i primi quattro deputati radicali eletti nel 1976 si mettono alla sinistra dei banchi del PCI. Perché mi permetto di affermare, come faccio nella conversazione con Rintallo, che è una falsità parlare di una continuità fra Pannella e il grillismo? Sono sciocchezze allo stato puro: dietro la vicenda di Pannella e del partito radicale – del primo partito come di quello rinnovato, perché uno dei meriti di Pannella è quello di aver attraversato il movimento degli anni Settanta che parte da Berkley e non prende le fattezze del ’68 francese tutte incardinate in chiave rivoluzionista, immettendo nel movimento fattori liberali atti a disboscare i dati autoritari contenuti nel nostro ordinamento, a partire dal Codice Rocco. Voglio dire, insomma, che la sua era una grande azione liberale perché era l’unica forza che ha nutrito di elementi liberali un quadro generale che aveva soltanto clericalismo, ideologia, meccanismi di scontro legati alla sua iscrizione in termini di mera violenza. Si tratta di contributi importanti che rendono improbabile leggere l’azione di Pannella in chiave grillina, come pure qualcuno ha cercato di fare – penso a Damilano sull’ «Espresso» che ha definito Pannella profeta dell’anti-politica – in quanto si tratta di una vera aberrazione, che è anche un’idiozia sul piano sostanziale.

 

In fondo la mia linea di lettura è questa: il grillismo è figlio della decomposizione del sistema centralistico ed è anche stato, in qualche misura, favorito da questo sistema. La non risolta questione liberale a sinistra ha lasciato lo spazio alla mera rappresentazione poujadistica e populista, e dunque apre la strada a situazioni quanto mai problematiche. Io non so a chi addebitare la gestione delle città a guida grillina, perché ci vuole rispetto e occorre aspettare tempo, ma sicuramente manca un’idea di città: non si intravede alcun progetto complessivo e, contemporaneamente, nemmeno la transizione per arrivarvi. Siamo di fronte alla mera azione finalizzata al ribellismo, che può lasciare poi spazi a situazioni terribili. Perché è evidente che un sistema centralistico non ha la finalità di costruire, ma spinge tutti a giocare sulle contraddizioni altrui. Se il Presidente della Repubblica ci invita a non ricorrere ai giochini per rappresentare la politica, dovrebbe essere anche consapevole che l’intero sistema socio-culturale italiano è stato infarcito da questi qualunquismi…

 

Forse in quel caso, gli interlocutori del Capo dello Stato erano più i vertici istituzionali…

 

Ho voluto citare la dichiarazione di Mattarella perché ritengo che in assoluta buona fede denunci una certa deriva, ma il Paese non dispone delle strumentazioni per inquadrarla nell’insieme del contesto. Basterebbe pensare che tutto il sistema informativo italiano non è altro che espressione della “società delle conseguenze”. Quest’ultima si forma perché in sessant’anni si è formata una certa soggettività sociale, ti basta un esempio: in Italia lavora il 40% delle persone, giusto il contrario di Inghilterra o Germania dove a lavorare è il 60%. Il soggetto sociale vive in prevalenza di reddito assistito, e di conseguenza anche in buona fede non possiede la cognizione dei ritmi dell’agenda che produce certi fatti. Questo si ripercuote inesorabilmente nelle formulazioni politiche. E ha i suoi effetti derivati sul modo in cui si raccoglie il consenso: finito il sistema partitocratico, che distribuiva denaro pubblico per raccogliere consenso, la nuova formulazione non si nutre di una consapevolezza soggettiva. Si nutre piuttosto dei vecchi filoni, che vengono espressi da un’opinione pubblica che non ha l’equazione fra la domanda politica legittima e le modalità con cui si acquisisce quella domanda.

 

Non c’è discontinuità…

 

Tutt’altro: c’è un continuismo strutturale che non può non destare preoccupazione. Per chiudere, voglio dirti che questo numero su Pannella delinea i segmenti culturali che hanno accompagnato il lavoro politico dei radicali. Credo che questo aspetto sia molto rilevante, perché io mantengo una convinzione precisa: il metodo radicale, gli strumenti di analisi radicali, ad onta delle difficoltà dei soggetti politici radicali, è l’unico metodo che possiede la chiave di lettura adeguata per comprendere davvero quello che sta oggi accadendo. In questo senso può esercitare una funzione importante, vedremo come potrà esplicitarsi nella fase attuale e se si riuscirà a centrare temi e obiettivi. Faccio un riferimento personale: quando, dieci anni fa, costituimmo l’Associazione Arabi democratici liberali lavorammo su sessanta-settanta nomi di personalità che avevano sì il limite di provenire dal mondo universitario, ma avevano pure la forza per contrastare i Fratelli musulmani, avevano cioè la forza di presentarsi come un soggetto politico che affermava: “noi siamo arabi, siamo musulmani, ma siamo anche democratici e liberali. Cosa c’è di strano?”. Tutto ciò avrebbe descritto un percorso che, se fosse stato adeguatamente amplificato a livello di opinione pubblica, avrebbe consentito di attribuire maggiore forza alle battaglie volte a scongiurare la sovrapposizione tra fede e politica e di favorire quel dialogo necessario a isolare i fanatismi e la violenza cieca ed assassina.

 

Anche il lavoro fatto da Emma Bonino con la conferenza di Sanà va in questa direzione… anche se è drammaticamente tardi e quello che raccogliamo in queste ore…

 

…sono le conseguenze della mancata azione di ricostruzione degli interlocutori politici. E non è che ce li inventiamo, stavano lì, esprimevano la loro volontà di dialogo, tanto da essere perseguitati nei loro paesi. Ricordo una docente di Tunisi, che in una decodificazione del Corano spiegava come non fosse scritto da nessuna parte che le donne devono indossare il velo, in quanto essa è una imposizione del sistema di potere. Il suo era un lavoro immenso, che non faceva alcun torto alla religiosità islamica.

 

Purtroppo, siamo investiti da un quadro informativo devastante. Le nostre strutture informative – siano esse RAI, Mediaset, La 7 o Sky – hanno i medesimi parametri culturali. Tutte le news, i telegiornali e i radiogiornali sono tutti fissati sulle stesse dinamiche. Fanno le loro trasmissioni, ma non ci indicano alcuna strada. Noi un gruppo di personalità importanti lo trovammo ed erano personalità che andavano in diretta rotta di collisione con i fautori dell’islamismo fanatico. Volevamo realizzare un grande appuntamento internazionale, ma anche all’interno della vicenda radicale abbiamo trovato difficoltà. Io non faccio mai torto al fatto che un soggetto come i radicali, operante con questi segmenti culturali all’interno del quadro di regime, è un soggetto che può venire anche frantumato. Ma il solo fatto che esista e che sopravviva è un miracolo estremo, anche se in alcuni momenti avrebbe fatto meglio a reggere con maggiore intelligenza complessiva. Mi auguro che i prossimi mesi segneranno un nuovo ritorno di quell’intelligenza che era propria di Pannella.

 

Anche se talvolta era portato ad azioni liquidatorie, Marco Pannella non liquidava mai niente. Pure quando dava addosso: io ho litigato molte volte con Marco, ma ho litigato più sul modello organizzativo o certe situazioni, che non sulla capacità di visione strategica. Qualche radicale storico, infatti, mi definisce un “pannelliano di ferro” pur essendo stato fra quelli che più hanno polemizzato e a più riprese con Marco. In questo senso e ispirato da questa traiettoria il numero di «Quaderni Radicali» 112 è un omaggio ma pure un primo tassello per ragionare in questa direzione. Perché, evidentemente, per fare una ricostruzione della poliedrica personalità di Pannella occorre non solo rifarsi al passato ma vedere quali di questi contributi possono avere la forza di innestarsi nell’agenda politica e diventare di nuovo centrale.

 

La forza di Marco non è stata mai quella delle piccole occasioni, ma quella di individuare il punto di contraddizione attraverso cui agire. L’abbiamo definita azione terremotante, nel senso positivo del termine, tesa a scardinare la forza aggressiva dell’azione verticistica e contemporaneamente operare in chiave democratica per il cambiamento. Il cambiamento come costruzione di progetti alternativi che si alimentano di “alterità”, dove l’alterità è quella che Marco ha saputo esprimere. Lo diceva Sciascia: il cambiamento si realizza con le persone che vivono nella loro esistenza il cambiamento stesso. Non è l’evocazione di un cambiamento che nessuno intravede e che non si sostanzia come testimonianza personale. Questo fa di Pannella una personalità che, paradossalmente, ha ancora un grande futuro; il futuro del mito laico, di chi gioca la propria vita in termini di azione strategica politica.

 

(trascrizione dell'intervista audio a cura di Luigi O. Rintallo)

 

- audio dell'intervista (da radioradicale.it)

 

 


Aggiungi commento