Correva l'anno 2008 quando il direttore Giuseppe Rippa incontrò Marco Pannella per una corposa conversazione pubblicata sul numero 101 di Quaderni Radicali. Il testo - ripubblicato questo mese sul numero 112 della rivista dedicato al leader recentemente scomparso - per molti aspetti è di stringente attualità, sia per una lettura in chiave interna al partito radicale, in preda a una crisi di "successione" non poco deprimente, sia per le interpretazione e le analisi ivi contenute sulla crisi europea e più in generale del mondo, che risultano anticipatrici e quanto mai azzeccate.
Marco è al suo solito posto nell’angolo del lungo tavolo della direzione del partito radicale, con una marea di carte intorno, che di volta in volta aumenta quando gli portano gli ultimi aggiornamenti delle agenzie. Accende il suo Toscanello alla grappa e una nuvola di fumo invade la già affumicata stanza. Il telefono suona: è Bettini, il ‘braccio destro di Veltroni’. “…Va bene, ci vediamo domenica…” – gli dice mentre il cellulare avvisa a voce che un nuovo messaggio è arrivato. “…Volevo conversare un po’ con te sulla vicenda radicale…” gli dico. “…Ok – mi risponde – ma ad un certo punto interrompiamo perché devo andare a La7 per una trasmissione… una rara trasmissione in cui sono invitato… Nel caso completiamo domani…”.
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Quale può essere il futuro della vicenda radicale in un quadro politico, socio-economico, istituzionale che nella sua strutturalità si presenta con tutti i caratteri di una democrazia fittizia; caratteri da sempre descritti dai radicali, penso al “caso Italia”, alle denunce in relazione alle violazioni sistematiche della legge costituzionale e dei diritti politici fondamentali dei cittadini da parte di quello che è stato da sempre definito un Regime… Quali sono i punti centrali della crisi letta, se sei d’accordo, nel contesto non solo italiano, ma europeo e anche della globalizzazione…
Il problema strutturale che tu evochi a me pare identico a livello globale e non solo nazionale. Si stanno raggiungendo dei punti di identità e non soltanto di simiglianza. Quando cerchiamo per esempio di riproporre…l’internazionalismo socialista, sottolineiamo che nello stesso tempo c’è il pensiero di Kant, (limitatamente a questo problema). Si tratta di una sua utopia più pragmatica di quanto non sembri. Può apparire un discorso sconnesso, ma ha una sua coerenza intellettuale e strategica. Ma questo aspetto lo analizziamo dopo.
Vediamo la situazione italiana a proposito del problema della pace – problema concreto, urgentissimo – che va affrontato a partire da alcuni mutamenti strutturali. Lo indico di fronte ad una Unione europea che temo continuerà in questi anni (malgrado il precipitare di quello che Altiero Spinelli con il suo manifesto di Ventotene, e poi in tutti gli anni successivi fino alla morte, ha cercato di scongiurare) nell’alibi della ricostruzione democratica degli stati nazionali.
Proprio quello su cui Spinelli insisteva come rischio, e che è ciò che sta accadendo, perché è vero sempre più che la democrazia, a livello degli stati nazionali, va in crisi sempre più profonda. Ci sono alcune cose che si sono sottovalutate. Per esempio anche di quello che accadeva negli “anni d’oro” nella società svedese e in genere quella nordica. Un piccolo esempio: l’elettroschok si è continuato lì a praticare a livello di stato. Dunque le contraddizioni esistevano, e poi lo statalismo, le solitudini…
Oggi quello che penso sia necessario è una Unione europea che abbia lo stesso afflato, ben presente nel manifesto di Ventotene, che in qualche frase sottolineava “l’unità democratica d’Europa nell’unità democratica del mondo”, come leva per questo.
La stessa puntualizzazione…va fatta sulla realtà italiana. Se l’Europa avesse avuto in questi anni una politica volta ad accelerare invece che impedire la naturalissima, storica partecipazione piena della Turchia, di Israele e del Marocco, questo per fare un esempio mediterraneo, la storia a questo momento già sarebbe altra, mentre sta incubando il peggio che potevamo prevedere dieci anni fa o cinque anni fa. Se guardo a queste realtà strutturali di congiuntura, vedo una politica che prosegue in tutta la sua durata fin dall’atto unico di Lussemburgo. L’Europa ha dentro di sé questo peggio: l’opposizione al progetto di trattato di riforma votato dal parlamento europeo, che dopo un anno aveva tanto spaventato da provocare vecchi riflessi, vecchi Dna di resistenza…
L’Europa sta indietreggiando…
…Sta avanzando, nel modo pericolosissimo descritto, nel senso opposto, quello costitutiva in senso negativo dell’Europa, volto a rifare l’Europa delle patrie e non la patria europea.
…ma credi ci possa essere ora un asse franco-inglese…?
…sì franco-tedesco, franco-britannico…: non è questo il punto. L’elemento di potenza nazionale, di supremazia attraverso alleanze è quello che abbiamo conosciuto nei secoli precedenti e fino ancora alla prima guerra mondiale di sicuro con le soluzioni che poi si sono sviluppate…
Non vedi in nessun Paese ipotesi di dati istituzionali e intellettuali che si contrappongono a questa logica…
Ci sono dappertutto contraddizioni, ma dico che il prodotto collettivo è stato quello descritto. La stessa elezione diretta del Parlamento europeo ha provocato una reazione che ha fatto venire fuori la forza di quelle cose – sempre sottovalutate – che Spinelli prevedeva e che voleva scongiurare. L’illusione che – e in Danimarca è molto forte – per scongiurare l’Europa nazista, fascista, si possa attuare una politica isolazionista, ancora più forte di quella britannica. Pur aderendo, quindi, si diffida dell’Europa. Ma procediamo con ordine...
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(Foto di Gianni Carbotti)
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