Tra i nomi che circolano per il dopo-Lupi, che questa mattina ha confermato le proprie dimissioni alla Camera, in pole position c'è Raffaele Cantone, il magistrato più famoso d'Italia a capo dell'Autorità nazionale anticorruzione. Una sorta di onnipresente deus ex machina, pronto ad intervenire - secondo la logica populista istituzionalizzata da Renzi, e nel tripudio dell'opinione pubblica - non appena emergano casi di malapolitica, per riconsegnare alle istituzioni l'onore che dovrebbe appartenere loro.
Così, in un periodo di marcata anti-politica come quello attuale, non passa scandalo che veda coinvolti politici, corruttori e tangenti, senza che immediatamente il nome dell'ex pm anticamorra emerga come addirittura primo papabile candidato per il posto divenuto all'improvviso vacante. E pazienza se nel caso in questione, quello post-Lupi-Incalza, per assumere il solito ruolo di magistrato redentore Cantone dovrebbe dimettersi dalla presidenza dell'authority anticorruzione ottenuta solo un anno fa, sull'onda dell'ennesimo sdegno populista per le tangenti all'Expo di Milano.
Per seguire coerentemente questa demagogia giustizialista - elevata a regime dalla retorica renziana -, di commissariamento sistematico della politica di fronte all'emergere di casi giudiziari, e della consegna nelle mani della magistratura di una funzione salvifica di rinascita della moralità pubblica, servirebbero, vista l'ampiezza del fenomeno corruttivo, molti più magistrati da copertina.
Ma per ora l'unico che può competere con Cantone in questo campo pare essere il procuratore antimafia Nicola Gratteri, anch'egli, non a caso, incluso nel toto-ministri dopo le dimissioni di Lupi. Immaginiamo, dunque, che dalle parti del Nazareno sia ora partita la caccia anche all'"Uomo della legge" da inviare all'istante nelle sedi del Pd romano, al centro dell'imbarazzante dossier redatto da Fabrizio Barca su richiesta del commissario straordinario Matteo Orfini in seguito allo scandalo di Mafia capitale.
Scrive Barca - nella relazione "intermedia" sui circoli romani (si pensi a cosa possa ancora emergere prima della conclusione della mappatura) - che nel Pd "si vanno delineando i tratti di un partito non solo cattivo ma pericoloso e dannoso“, dove “non c’è trasparenza” e “che lavora per gli eletti anziché per i cittadini". Traspaiono - prosegue l'ex ministro della Coesione territoriale nel governo Monti - "deformazioni clientelari e una presenza massiccia di carne da cannone da tesseramento". Lo scenario che emerge è quindi quello di un partito a cui manca “la capacità di raggruppare e rappresentare la società del proprio quartiere" e che “subisce inane lo scontro correntizio e le scorribande dei capibastone".
Ora, è chiaro che non occorresse Barca per comprendere le degenerazioni clientelari e correntizie vissute dal Pd romano, né l'incapacità del partito di svolgere un ruolo di reale aggregazione e proposta politica. Il rapporto dell'ex ministro ha comunque il merito di riportare all'attenzione queste problematiche, attraverso una precisa ricerca effettuata tra i militanti e i dirigenti - in altre parole la "base" - del partito. Considerato, tuttavia, l'approccio populista e propagandista di cui sopra fatto proprio da Renzi, dubitiamo che tale rapporto possa portare a risvolti concreti e in senso liberale nell'organizzazione del partito di governo.
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