L'arresto di Ercole Incalza, storico super dirigente del ministero dei Lavori pubblici, per le tangenti negli appalti delle cosiddette grandi opere (dalla Tav all'Expo), ha portato ancora una volta alla ribalta il tema della gestione corruttiva e clientelare della cosa pubblica da parte dell'ennesima cricca partitica-burocratica-imprenditoriale.
Braccio operativo di questo sistema corruttivo sarebbe stato l’imprenditore Stefano Perotti, a cui sono state affidate nel tempo la progettazione e la direzione dei lavori di diverse grandi opere in ambito autostradale e ferroviario, dietro lauto compenso. Tanto che, secondo il gip, Incalza avrebbe guadagnato più dalle bustarelle ricevute da Perotti che dallo stesso impiego da lui svolto al ministero delle Infrastrutture.
Tra i politici citati negli atti processuali della procura di Firenze emerge più volte il nome dell'attuale ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Maurizio Lupi, che da questo giro di tangenti e favori avrebbe ricevuto in dono regali e raccomandazioni lavorative per il figlio.
Al di là della vicenda giudiziaria, e in attesa, dunque, che queste accuse vengano accertate in sede processuale, lo scandalo emerso nelle ultime ore permette di avanzare due considerazioni generali, una sul piano istituzionale e l'altra su quello politico.
A livello istituzionale, l'inchiesta Incalza, che ora vede nell'occhio del ciclone Lupi, ha il de-merito di riportare all'attenzione distratta degli organi d'informazione e dell'opinione pubblica l'esistenza di un apparato di vertice della burocratica amministrazione che nel corso del tempo è giunto ad assumere le forme di vero e proprio mandarinato: una casta libera da ogni controllo pubblico e con la tendenza frequente a strabordare nei processi decisionali senza alcuna legittimazione. Un gruppo di potere che, figlio della degenerazione partitocratica, è riuscito ad assumere tale rilievo nelle logiche di funzionamento (in senso conservatore) delle istituzioni del Paese da apparire quasi incontrollabile, perfino agli occhi dei partiti stessi.
Non si spiega, altrimenti, l'"era Incalza" al ministero delle Infrastrutture: 14 anni passati nella stanza dei bottoni, con sette governi e cinque ministri diversi. "Senza l’intervento di Ercolino, al 100% non si muove una foglia" dicevano non a caso, nelle telefonate intercettate, alcuni indagati nello spiegare il ruolo da "dominus totale" ricoperto da Incalza all'interno del ministero presieduto - evidentemente solo nella teoria - da Lupi. Di fronte a questo snaturamento della funzione dell'alta burocrazia amministrativa, il pensiero non può non andare a quei tanti altri intoccabili super-burocrati che, con la fortuna di essere ancora lontani dai riflettori, continuano e continueranno saldamente a tenere in mano le redini del Paese, con buona pace delle tanto auspicate - e infatti puntualmente fallite - riforme strutturali dell'apparato statale.
La seconda considerazione che lo "scandalo Incalza" permette di avanzare è più prettamente politica, e riguarda il ruolo dell'Ncd di Angelino Alfano. Un partito inesistente a livello elettorale - destinato, con il suo 2 o 3%, ad essere spazzato via alle prossime elezioni - ma ben concentrato sul presente, per sfruttare, finché la barca va, ogni minima occasione spartitoria di poltrone. Ecco allora i tre ministeri (peraltro non irrilevanti: Interno, Infrastrutture, Salute), i due viceministri e gli svariati sottosegretari.
Insomma, eccezion fatta per questo comune istinto di "alimentazione", nulla rimane, a livello politico, del partito che avrebbe dovuto costituire nientedimeno che la culla del futuro centrodestra post-berlusconiano in senso liberale. Il ministro Lupi, che nel respingere le interrogazioni parlamentari per la rimozione di Incalza, legge in Aula un testo scritto dall'avvocato dello stesso super dirigente, ne è solo la definitiva, imbarazzante e parossistica dimostrazione.
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