Salvo bizantinismi dell’ultima ora nel segreto dei catafalchi piazzati a Montecitorio, Sergio Mattarella dovrebbe essere il nuovo Presidente della Repubblica. Rispetto ai suoi predecessori al momento dell'elezione è sicuramente meno noto, tant’è che, fatto il nome da Renzi, si sono rese necessarie biografie istantanee per farne la storia.
Di lui si è detto comunque subito un gran bene, anche fra i grandi elettori contrari ma solo – precisano – “per questioni di metodo” e non per fatto personale. Le agiografie prêt-à-porter fresche di stampa lo tratteggiano come uomo schivo, riservato, sobrio (a misura di Renzi si potrebbe aggiungere), ma tutto d’un pezzo: con “la schiena diritta”! Si portano ad esempio, sventolato ieri in tutti i media nazionali, le dimissioni gloriose di qualche lustro fa da ministro, in segno di disappunto sulla legge Mammì che sanava il predominio televisivo conquistato de facto dal Biscione di Silvio Berlusconi.
C’è da dire che se nel proprio curriculum si ha il pregio di vantare un contenzioso a vario titolo con l’uomo di Arcore, la valutazione complessiva se ne giova. Così, per l’occasione, le dimissioni di Mattarella sono diventate, sulle prime, più dimissioni di altri: per esempio degli altri quattro membri del governo che allora seguirono, da uomini per l’appunto tutti di un pezzo, l’ordine di Ciriaco de Mita.
Già, la figura del noto politico di Nusco in provincia di Avellino, ci aiuta a ricordare che Mattarella non è politico di primo pelo, ma democristiano di sinistra d.o.c.. Da qui la conferma terrorizzante che “moriremo tutti democristiani”, oltre che la constatazione che l’idea di rottamazione renziana si dimostra ancora una volta a geometrie variabili, secondo le necessità che si fanno virtù. E a seconda delle opportunità e in base alla persona si possono guardare anche alcuni fatti del passato più o meno recente. Così, se la guerra in Kosovo rappresenta uno dei cavalli di battaglia di chi vuole elencare ancora oggi le cose disdicevoli fatte da Massimo D’Alema come premier comunista al servizio degli americani, sulla stessa guerra in queste ore molti dei critici a sinistra glissano, accennando sommariamente al fatto che Mattarella di quel governo “guerrafondaio” ne fu addirittura il ministro della Difesa, oltre che vicepresidente, che volle l'abolizione della leva militare.
Ma Sergio Mattarella non è solo questo, ovviamente. Mattarella vuol dire soprattutto lotta alla mafia, come omicidio del fratello famoso Piersanti ci ricorda. Anche in questo caso, un curioso destino colpisce il probabile nuovo Capo della Stato, il quale riceve benefici dalla luce riflessa di una tragedia familiare, ma nello stesso tempo anche le ombrose insinuazioni di qualche maligno, a causa dei trascorsi chiacchierati del padre come ras della Dc palermitana degli anni che furono.
È inutile sottolineare quanto sia stupido e ingiusto far ricadere sui figli presunte colpe dei padri. Più opportuno invece raccontare le cose di cui il politico siciliano è diretto genitore: vale a dire il Mattarellum, la legge elettorale che prende il suo nome, di cui per molto tempo si sono dette peste e corna, non proprio a torto. Poi però, come qualche volta capita a quegli amori infranti che vengono rivalutati da esperienze sentimentali successive, di quella legge si sente addirittura la mancanza. Eppure, non va dimenticato che fu un capolavoro grazie al quale, azzeccando sapientemente i garbugli, si disattese il risultato referendario sul maggioritario uninominale e s’introdusse nuovamente dalla finestra la quota proporzionale.
I risultati politici di quella scelta sono sotto gli occhi di tutti.
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