Dopo il secondo incontro con Renzi, in linea di massima giudicato positivo, il Movimento 5 Stelle ha deciso a sorpresa di interrompere il dialogo con il Pd in tema di riforme costituzionali ed elettorali. "E' finito il tempo degli incontri" ha affermato la delegazione parlamentare pentastellata, capitanata da Luigi Di Maio, sul blog di Beppe Grillo. Ma la inaspettata marcia indietro del M5S porta con sé diverse ambiguità.
I grillini attaccano innanzitutto la proposta del premier di organizzare, dati i segnali positivi provenienti dai pentastellati, un'ulteriore riunione tra le due delegazioni per provare a tirare le fila sulla riforma della legge elettorale. "Malgrado i proclami di rapidità − rispondono i grillini −, il succo è che su quasi tutto si è preso bradipescamente altro tempo". Dunque, nessun nuovo incontro: "Al momento si preferisce la ratifica degli attuali punti fin qui negoziati da parte dei nostri iscritti".
Le parole utilizzate per annunciare il cambio di rotta sorprendono per la loro superficialità. A prescindere dal merito della questione, l'immagine che emerge è quella di un partito convinto, nella sua presunzione populista ("lo vogliono i cittadini!"), di poter concludere accordi su temi di così fondamentale importanza per il "gioco democratico" dopo due sole timide conversazioni con il partito di maggioranza.
Come se, in linea con le peggiori semplificazioni populiste, si trattasse di semplici chiacchiere da bar, e senza che, come dichiarato ovviamente da Renzi, sia necessario perlomeno ascoltare anche le posizioni delle altre forze politiche, per far sì che progetti di riforme così importanti possano ricevere l'adesione del maggior numero di soggetti rappresentativi della società.
La reazione improvvisa del M5S suona ancor più stonata se si pensa che è stato proprio lo stesso partito di Grillo a trincerarsi per mesi, all'interno di un fantomatico "portale",per la discussione di future riforme istituzionali, sottraendosi inizialmente al dibattito trasversale che proprio in quel periodo stava emergendo su queste tematiche (lasciando, peraltro, campo libero all'odiato Berlusconi). Non è un caso se i grillini nel loro attacco a Renzi abbiano finito per l'utilizzare paradossalmente lo stesso termine ("bradipo") adoperato dal premier per definire la lenta apertura del M5S.
"Renzi ha rinviato la trattativa, parla di 15 giorni ma potrebbe slittare addirittura a settembre. Il M5S − concludono gli onorevoli pentastellati − non se la sente di prendere per il culo i cittadini italiani per un’intera estate". Quindi cosa si fa? Nulla, si attende il voto in aula, trascorrendo tutta l'estate chiusi nelle proprie case e nel proprio blog ad osservare gli "altri" trattare e decidere sul futuro costituzionale e politico del Paese.
Il cieco immobilismo, nella logica grillina, è molto più conveniente del confronto democratico. A conferma di ciò che da tempo sottolineiamo, e cioè che si è ben lungi dall'essere di fronte ad una concreta proposta di alternativa politica, ma che si tratti semplicemente dell'altra faccia della stessa medaglia, quella della soffocante partitocrazia: non della cura bensì del sintomo di questa "malattia".
Curioso notare, infatti, come i pentastellati provino a mostrare disperatamente un'autorevolezza che in realtà, in virtù della strategia isolazionista adottata, non esiste neanche alla lontana: "Ci dispiace per il Pd ma non c'è più tempo". Come se, insomma, siano loro ad avere sotto controllo l'agenda delle riforme e, dunque, a decidere quando concludere le trattative ed ottenere ciò che si è richiesto. Un'assurda presa di posizione, volta a manifestare per fini elettoralistici una sorta di potere di veto che, nella realtà dei fatti, il M5S non possiede.
L'imbarazzante ed ambigua chiusura del M5S smentisce nei fatti i propositi dell'area dialogante del movimento, impersonificata dal vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, che lentamente avevano provato ad affermarsi nonostante i diktat di Grillo. L'impressione è che ora sia giunto dall'alto l'ordine di interrompere immediatamente le comunicazioni con le controparti: il rischio, nel caso (probabile) in cui Renzi introducesse nella riforma elettorale molti dei punti avanzati dai grillini, è che lo stesso movimento possa veder "annacquata" la propria identità: fare opposizione è sicuramente meglio che governare, soprattutto perché non vi è alcuna condivisione di responsabilità, dunque di ruoli, di immagine, di identità.
Emblematico è il fatto che il dietro-front del M5S giunga poche ore dopo la notizia di una sorta di abdicazione definitiva da parte di Beppe Grillo dal ruolo di leader indiscusso del movimento, a vantaggio del suo braccio destro Gianroberto Casaleggio: "Sono stanco − avrebbe confidato l'ex comico ai suoi −, non ce la faccio a venire spesso a Roma. E poi io sono un motivatore, il capo politico è Casaleggio".Non solo: "Casaleggio da settembreprenderà casa a Roma, anche per coordinare l’indirizzo generale del Movimento".
L'annuncio è stato poi smentito dallo staff del movimento, ma l'idea che prende piede, alla luce degli ultimi sviluppi, è che un riposizionamento dei soggetti al vertice (o meglio, una conferma definitiva degli equilibri già esistenti) vi sia effettivamente stato, con gli effetti che ora tutti possono vedere.
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