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16/11/24 ore

La crisi dei giornali del Pd


  • Antonio Marulo

«Matteo ad agosto nasce mio figlio, cosa gli aspetta…». L’art director Loredana Toppi se lo è chiesto nell’appello-supplica a Renzi che la redazione dell’Unità ha diffuso per denunciare la situazione fallimentare in cui versa nuovamente il giornale fondato da Antonio Gramsci. 

 

Si parla di meno di un mese di vita, salvo un intervento di rianimazione, l’ennesimo, che rimetta in sesto una delle due testate che fanno capo al Partito democratico. L’altra, Europa quotidiano, non se la passa meglio e pare che abbia i mesi contati. Un comunicato allarmato della redazione ha dato infatti notizia che il “Consiglio di amministrazione ha disposto di avviare le azioni necessarie per la chiusura delle pubblicazioni della testata per la fine di settembre, qualora entro quella data non intervengano fattori nuovi in grado di rendere sostenibili i conti”.

 

Tutto questo accade nel momento di maggior successo elettorale (non certo politico) del partito di riferimento, in piena stagione da pensiero unico renziano, a conferma che quando la sinistra prende il potere in Italia i giornali “amici” ne soffrono. In questo caso, la crisi s’inserisce in un quadro generale già poco rassicurante per un settore che, travolto dal web , si è visto via via ridurre la razione a fondo perduto generosamente elargita con il finanziamento pubblico ai giornali: un bel malloppo che faceva passare in secondo piano gli insuccessi editoriali del prodotto, confezionato magari con una mastodontica struttura fuori da ogni logica di mercato.

 

Ora, invece, anche strutture snelle e ridotte all’osso non reggono e vanno in rosso. Così, nell’era digitale, l’unico modo per vivere o almeno sopravvivere pare sia affidato a qualche uomo di buona volontà che decida, per interessi diversi dal profitto, di donare un po’ di denari alla voce giornali di partito e/o d’opinione. Finanziatori amici, si chiamano oggi. E il segretario-premier non ne ha pochi ultimamente che gli ronzano attorno come api nel miele.

 

Resta da capire quali sia il grado di volontà di salvare i brand ereditati dal passato più o meno glorioso. L’Unità è di sicuro un marchio d.o.c., meno Europa quotidiano, figlio della stagione margheritina. Il primo ha fatto fino a ieri la guerra a Renzi, il secondo gli ha lisciato il pelo, se non altro per solidarietà ex-democristiana.

 

Se i mecenate dell’ultima ora dovessero dileguarsi (a parte gli indesiderati come Daniela Santanché, perfidamente offertasi per comprare l’Unità), c’è chi scrive di una possibile fusione con divisione dei compiti: carta agli ex-comunisti, area web agli ex-democristiani. In tal caso, possiamo immaginare lo scontro per salvaguardare il buon nome di entrambi.  Speriamo non venga in mente a nessuno “L’Unità d’Europa”: compromesso equo ma da scongiurare, seppur di questi tempi si starebbe sul pezzo già dalla testata.

 

 


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