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16/11/24 ore

Il PD e il premio di maggioranza


  • Luigi O. Rintallo

La vice-segretario del PD, Serracchiani, dichiara che il suo partito non teme eventuali elezioni anticipate. Lo fa per replicare a Berlusconi che, in apertura della campagna elettorale per le Europee, mette in dubbio il voto di Forza Italia per le modifiche istituzionali presentate dal governo Renzi.

 

Più accorta, il ministro Maria Elena Boschi non prefigura alcuno scenario di voto politico e si dice invece pronta a proseguire anche prescindendo dagli accordi di Largo Nazareno fra premier e leader di FI, facendo approvare il “pacco” abolizione del Senato e Italicum, rivisto e corretto, da chi ci sta (in sostanza PD e Nuovo Centro Destra di Alfano e Schifani).

 

Non è una differenza da poco. Da essa si chiarisce che Renzi non avrebbe alcun interesse ad andare a votare senza prima aver cambiato la legge elettorale. L’ipotesi di un piano B del premier, teso a votare al più presto per risolvere l’impasse in cui oggettivamente si trova, scaricando sugli avversari – interni ed esterni – le responsabilità delle mancate riforme, perde allora consistenza.

 

O meglio, può delinearsi solo attraverso un’accelerazione della riforma elettorale: andare a votare con il cosiddetto “consultellum”, vale a dire il sistema di voto delineato dalla sentenza della Corte Costituzionale senza premio di maggioranza e di fatto puramente proporzionale, è un’ipotesi che Renzi vede come il fumo negli occhi.

 

Sa, infatti, che in quel caso il ruolo del PD uscirebbe grandemente ridimensionato e ricondotto allo stato reale, che non è diverso da quello di sempre delle forze raccolte a sinistra: meno di un terzo dei consensi, gli stessi ai quali sono inchiodati dal 18 aprile 1948

 

Per non temere il voto, il PD ha dunque assoluto bisogno di un premio di maggioranza. Occorre vedere se troverà davvero alleati in questo disegno.



 

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