“Mio padre arrestato senza motivo, assolto dopo la morte”. L’ennesima denuncia di malagiustizia questa volta giunge da Napoli, e non da una persona qualunque, ma da un magistrato: Raffaele Greco, già pm e giudice del Tar, oggi consigliere di Stato. È lui a raccontare oggi, in un’intervista a Repubblica di Napoli, la storia di suo padre Oreste, ex docente universitario ed ex preside della Facoltà di Ingegneria della Federico II.
Cinque anni fa, assieme ad altre 14 persone, per lo più anziani professori universitari, Oreste Greco fu messo agli arresti domiciliari per presunte irregolarità nel collaudo degli impianti di combustibile da rifiuti (Cdr) della Campania. Gli indagati furono arrestati su richiesta dei pm Paolo Sirleo e Giuseppe Noviello – che poi hanno lasciato Napoli – con l’accusa di aver effettuato un collaudo fittizio dei sette impianti adibiti alla lavorazione dei rifiuti, su spinta di interessi politici e clientelari.
Pochi giorni fa il giudice monocratico Giustina Caputo ha assolto tutti gli indagati “perché il fatto non sussiste”, accogliendo la richiesta del nuovo pm Ernesto Sassano, che ribaltando l’impianto dei suoi predecessori aveva chiesto l’assoluzione di tutti gli imputati. Quattordici persone, alle quali si sarebbe aggiunto anche Oreste Greco, se non fosse scomparso prematuramente. A cinque anni di distanza dagli eventi, ora, il figlio Raffaele, esprime il suo “sconcerto” per le modalità con cui venne condotta la vicenda giudiziaria, e per l’abuso che fu fatto della custodia cautelare.
“Non abbiamo mai messo in discussione – dichiara Raffaele Greco – il diritto e il dovere, per la magistratura, di avviare un’indagine ed eventualmente celebrare un processo su fatti ritenuti meritevoli di un accertamento penale. Quello che amareggiava mio padre, e ancora oggi lascia sconcertato me, è l’uso della custodia cautelare nei confronti di persone anziane, incensurate, professionisti chiamati a ricoprire quell’incarico solo perché presidi di facoltà universitarie, ai quali l’esistenza dell'indagine era nota già da tempo. Davvero non si riusciva a capire dove fossero le esigenze”.
Non solo. L’accusa che Greco lancia nei confronti dei magistrati Sirleo e Noviello – che ora, come spesso accade, nonostante gli errori avranno la possibilità di proseguire come nulla fosse la propria carriera – è quella di essersi lasciati influenzare dal clima da caccia alle streghe che allora accompagnava l’emergenza rifiuti partenopea: “Le strade erano invase dalla spazzatura, nell'opinione pubblica vi era un diffuso sentimento di ostilità nei confronti di chi si occupava della gestione della crisi. Forse questo clima ha inciso sulle indagini. (…) In quei giorni, chi toccava quella materia finiva nell’occhio del ciclone. E come spesso accade, la magistratura penale ha surrogato altre istituzioni”.
La testimonianza di Greco contribuisce, ancora una volta, ad avere percezione dello stato desolante in cui versa il sistema giudiziario italiano. Allo stesso tempo, tuttavia, rappresenta una certa contraddizione in termini il fatto che a realizzare l’intervista a Greco (poi relegata comunque nella cronaca locale e nelle pagine secondarie) sia stato un giornale, come Repubblica, che essendosi erta da anni a cieca sostenitrice e apologeta delle cause togate in nome di un’irrefrenabile ideologia anti-berlusconiana, ha taciuto e continua a tacere sulle incontrovertibili e strutturali degenerazioni dell’intero apparato giustizia.
A dimostrare, difatti, quale sia la reale linea di pensiero fatta propria da Repubblica, ci pensa lo stesso direttore del giornale, Ezio Mauro, nell’ultima puntuale, autocelebrativa e quasi farsesca riunione di redazione trasmessa in pompa magna dal sito, dedicata questa volta ad un altro tema a loro molto caro e pertinente con ciò di cui parliamo, cioè all’“intreccio malato tra giustizia e politica”. Un aspetto anch’esso legato alle dinamiche degenerative del sistema giudiziario, ma che Mauro e i suoi preferiscono tralasciare per dedicarsi ad una difesa aprioristica della magistratura e per tracciare il quadro di una giustizia sotto attacco dalla politica e, soprattutto, dal “condannato Berlusconi”.
“Nessuno tocchi la giustizia” è, insomma, il messaggio lanciato quotidianamente dal partito-Repubblica. Non ci si sorprenda, dunque, se casi come quello di Greco continuano ad essere resi noti nella più totale indifferenza e, di conseguenza, tristemente, a ripetersi.
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